Ricorso Inammissibile: Le Conseguenze di un Appello Tardivo
Nel processo penale, rispettare le regole e le scadenze è fondamentale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda le gravi conseguenze di un ricorso inammissibile, specialmente quando i motivi di doglianza vengono sollevati per la prima volta davanti alla Suprema Corte. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere l’importanza di una strategia difensiva ben strutturata fin dai primi gradi di giudizio.
I Fatti del Caso
Un imputato, condannato in primo grado e in appello per i reati di violenza o minaccia a un pubblico ufficiale (art. 336 c.p.) e danneggiamento (art. 635 c.p.), decideva di presentare ricorso per Cassazione. La sua contestazione non riguardava la sua colpevolezza, ma si concentrava esclusivamente sulla commisurazione della pena, lamentando una presunta violazione di legge e vizi di motivazione da parte della Corte d’Appello.
La Decisione sul Ricorso Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha esaminato il caso e ha emesso una decisione netta: il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione sollevata dall’imputato, ma si ferma a un livello precedente, quello procedurale. La conseguenza diretta per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha basato la sua decisione su due principi cardine della procedura penale.
In primo luogo, il motivo del ricorso è stato ritenuto ‘non consentito’. L’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce chiaramente che non è possibile presentare in Cassazione motivi che non siano già stati sollevati nel giudizio di appello. Nel caso specifico, l’imputato ha contestato la quantificazione della pena per la prima volta davanti alla Suprema Corte, un’azione proceduralmente scorretta che ha reso il ricorso inammissibile in partenza.
In secondo luogo, la Corte ha aggiunto un’ulteriore osservazione. Anche se il motivo fosse stato ammissibile, probabilmente non avrebbe avuto successo. La sentenza impugnata aveva infatti applicato la pena nel suo ‘minimo edittale’, ovvero la sanzione più bassa prevista dalla legge per quei reati. La giurisprudenza costante, citata anche nell’ordinanza, afferma che quando un giudice applica il minimo della pena, non è tenuto a fornire una motivazione particolarmente dettagliata, poiché tale scelta è di per sé indicativa di una valutazione favorevole all’imputato.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce una lezione fondamentale per chiunque affronti un processo penale: la strategia difensiva deve essere completa e articolata sin dal primo grado. Ogni eccezione, contestazione o richiesta deve essere presentata nei tempi e nei modi corretti. Attendere l’ultimo grado di giudizio per sollevare nuove questioni è una tattica destinata al fallimento e che comporta, come visto, conseguenze economiche negative. La declaratoria di inammissibilità non è una semplice formalità, ma una chiusura definitiva del processo che comporta l’obbligo di pagare le spese e una sanzione pecuniaria, senza che vi sia stata alcuna discussione sul merito delle proprie ragioni.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo di contestazione, relativo alla commisurazione della pena, è stato sollevato per la prima volta in Cassazione, in violazione dell’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale, che non consente di dedurre motivi nuovi in sede di legittimità.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Quando il giudice applica la pena minima, deve motivare in modo approfondito la sua scelta?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata citata nell’ordinanza, quando la pena viene fissata nel minimo edittale (il minimo previsto dalla legge), non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, poiché tale scelta è già di per sé la più favorevole possibile per l’imputato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 43072 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 43072 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a MODENA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 30/01/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME impugna la sentenza in epigrafe indicata, che ne ha confermato la condanna per i delitti di cui agli artt. 336 e 635, cod. pen..
Egli lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in punto di commisurazione della pena.
Il ricorso è inammissibile, perché proposto per motivo non consentito, in quanto dedotto per la prima volta solo con il presente ricorso (art. 606, comma 3, cod. proc. pen.). Peraltro, la pena è stata contenuta nel minimo edittale, non essendo perciò necessaria una specifica motivazione (tra le tantissime: Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288).
All’inammissibilità del ricorso segue per legge la condanna alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si stima equa in tremila euro, non ravvisandosi assenza di colpa della ricorrente nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 25 ottobre 2024.