Ricorso Inammissibile: La Cassazione sanziona la genericità dei motivi
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del diritto processuale penale: la specificità dei motivi di impugnazione. Quando un appello è formulato in modo vago e non pertinente, il risultato non è solo il rigetto, ma una declaratoria di ricorso inammissibile, con conseguenze economiche significative per il ricorrente. Questo caso offre uno spunto prezioso per comprendere perché la precisione negli atti legali non è un mero formalismo, ma una condizione essenziale per la tutela dei propri diritti.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Venezia. L’imputato lamentava, in sostanza, due vizi nella decisione dei giudici di secondo grado: il mancato approfondimento di possibili cause di non punibilità, secondo quanto previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale, e un’insufficiente valutazione dei criteri per la determinazione della pena, indicati nell’articolo 133 del codice penale.
La Decisione della Corte di Cassazione
I Giudici della Suprema Corte hanno esaminato i motivi del ricorso e li hanno liquidati rapidamente, dichiarando l’impugnazione inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale per i casi di inammissibilità del ricorso.
Le Motivazioni: la genericità come vizio insanabile del ricorso inammissibile
La Corte ha basato la sua decisione su una valutazione netta e inequivocabile dei motivi presentati dal ricorrente. Le censure sono state definite “assolutamente generiche e in parte non pertinenti”. Questo giudizio si fonda su due pilastri argomentativi principali.
In primo luogo, la genericità. Le doglianze relative alla determinazione della pena (ex art. 133 c.p.) e alla mancata declaratoria di cause di non punibilità (ex art. 129 c.p.p.) non erano supportate da argomentazioni specifiche che si confrontassero criticamente con la sentenza impugnata. In altre parole, il ricorrente si è limitato a enunciare un principio di legge senza spiegare come e perché la Corte d’Appello lo avesse violato nel caso concreto. Questo tipo di impugnazione non permette alla Corte di Cassazione di svolgere il proprio ruolo di giudice di legittimità.
In secondo luogo, la non pertinenza. La Corte ha evidenziato un errore procedurale significativo: l’invocazione dell’articolo 129 c.p.p. (che impone al giudice di dichiarare immediatamente determinate cause di non punibilità) in sede di appello, a fronte di una sentenza di condanna di primo grado. Tale norma, spiegano i giudici, ha un’applicazione differente nelle varie fasi del processo, e richiamarla in modo decontestualizzato in appello si rivela un’argomentazione non pertinente.
Le Conclusioni: l’importanza di un’impugnazione specifica
La decisione in commento è un monito chiaro: le impugnazioni nel processo penale devono essere specifiche, pertinenti e tecnicamente corrette. Un ricorso inammissibile non è un’eventualità remota, ma la conseguenza diretta di un atto redatto senza la dovuta diligenza. La condanna alle spese processuali e al pagamento della sanzione alla Cassa delle ammende non è una punizione accessoria, ma un meccanismo volto a disincentivare impugnazioni meramente dilatorie o prive di fondamento giuridico. Per i cittadini, ciò si traduce nella necessità di affidarsi a difensori competenti che sappiano articolare le ragioni della difesa in modo chiaro e conforme alle regole processuali, evitando così costi aggiuntivi e la frustrazione di vedersi negare l’accesso a un giudizio di merito.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le censure sollevate erano ritenute “assolutamente generiche” e, in parte, “non pertinenti”, non soddisfacendo quindi i requisiti di specificità richiesti dalla legge per un’impugnazione.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Quale errore giuridico specifico ha commesso il ricorrente?
Il ricorrente ha erroneamente invocato l’applicazione dell’art. 129 del codice di procedura penale (sulle cause di non punibilità) davanti al Giudice di appello, a fronte di una sentenza di condanna di primo grado, un’argomentazione ritenuta non pertinente in quella fase processuale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20930 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20930 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/10/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che le censure dedotte nel ricorso di NOME, relative rispettivamente al mancato approfondimento di cause di non punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. e al mancato approfondimento dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono inammissibili perché assolutamente generiche e in parte non pertinenti (laddove, a fronte di una sentenza di condanna di primo grado, si invoca l’applicazione da parte del Giudice di appello dell’art. 129 cod. proc. pen.).
Osservato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.