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Ricorso inammissibile: quando la Cassazione lo rigetta

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile perché basato su motivi generici, ripetitivi e finalizzati a un riesame dei fatti non consentito. L’impugnazione dell’imputato contro la sentenza di condanna della Corte d’Appello è stata respinta, con condanna al pagamento delle spese e di un’ammenda, confermando che il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Analisi di una Decisione della Cassazione

Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non è una terza opportunità per discutere i fatti del processo. Un’ordinanza recente ci offre un chiaro esempio di quando un ricorso inammissibile viene rigettato, evidenziando i limiti e le finalità di questo strumento. Analizziamo insieme perché la Suprema Corte ha respinto l’impugnazione, condannando il ricorrente anche al pagamento di una sanzione pecuniaria.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine da un ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva già confermato la sua condanna emessa in primo grado. L’imputato, non soddisfatto della decisione, ha deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione, lamentando presunte carenze nella motivazione della sentenza di secondo grado.

I Motivi del Ricorso Inammissibile in Cassazione

La Corte di Cassazione, esaminando l’atto di impugnazione, ha individuato tre ragioni fondamentali che ne hanno determinato l’inammissibilità.

1. Richiesta di un Riesame del Merito

Il primo punto critico era che il ricorso, pur mascherato da critica alla motivazione, chiedeva di fatto alla Corte di rivalutare le prove e la ricostruzione dei fatti. Questo è un compito che spetta esclusivamente ai giudici di primo e secondo grado. La Cassazione, infatti, è un giudice di legittimità: il suo ruolo non è decidere se l’imputato sia colpevole o innocente, ma verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza sia logica e non contraddittoria.

2. Genericità e Ripetitività delle Censure

Il secondo motivo di inammissibilità riguardava la natura delle doglianze. Il ricorrente si era limitato a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte dalla Corte d’Appello. Non è stata mossa una critica specifica e puntuale al ragionamento dei giudici di secondo grado; il ricorso era una semplice ripetizione di tesi già vagliate, rendendo l’impugnazione generica e priva della necessaria specificità.

3. Contrasto con la Giurisprudenza Consolidata

Infine, le argomentazioni legali presentate erano in palese contrasto con i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, le critiche relative alla quantificazione della pena (due anni di reclusione e 1.000 euro di multa) e alla concessione delle attenuanti generiche sono state considerate infondate, poiché la decisione della Corte d’Appello era in linea con orientamenti giurisprudenziali stabili e ben noti.

Le Motivazioni della Corte

La Suprema Corte ha basato la sua decisione su principi procedurali chiari e consolidati. Ha ribadito che il ricorso per cassazione non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio. Le doglianze che si limitano a postulare ‘indimostrate carenze motivazionali’ senza individuare vizi logici o giuridici specifici si traducono in una richiesta di riesame del merito, inammissibile in sede di legittimità.

I giudici hanno sottolineato come la sentenza impugnata avesse adeguatamente risposto a tutti i punti sollevati dalla difesa, con argomenti giuridici ‘ineccepibili’. La riproposizione sterile delle stesse censure, senza un confronto critico con la motivazione della Corte d’Appello, rende il ricorso privo di fondamento. Citando precedenti specifici (come Cass. n. 46566/2017 e n. 9242/2013), la Corte ha confermato il proprio orientamento rigoroso nel filtrare i ricorsi, ammettendo solo quelli che denunciano reali violazioni di legge o vizi logici manifesti.

Le Conclusioni

Per tutte queste ragioni, il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria serve a scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o dilatori, che sovraccaricano inutilmente il sistema giudiziario.

La decisione rappresenta un importante monito: per accedere al giudizio di Cassazione, non è sufficiente essere insoddisfatti della decisione precedente. È necessario formulare censure precise, pertinenti e fondate su solidi argomenti di diritto, dimostrando un effettivo errore nell’applicazione della legge o nella costruzione logica della sentenza impugnata.

Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile quando non rispetta i requisiti di legge. Secondo questa ordinanza, ciò avviene quando le doglianze sono generiche, si limitano a ripetere argomenti già respinti, chiedono un riesame dei fatti oppure si pongono in contrasto con la giurisprudenza consolidata.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare i fatti di un processo?
No. La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità, non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, non può rivalutare le prove o la ricostruzione dei fatti, che sono di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado.

Cosa succede se un ricorso viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la decisione impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) da versare alla Cassa delle ammende, come deterrente contro impugnazioni pretestuose.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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