Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6488 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6488 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MESSINA il 04/03/1985
avverso la sentenza del 11/09/2024 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOMECOGNOME
Ritenuto che il primo, il secondo ed il terzo motivo di ricorso che contestano la nullità del decreto di citazione sono manifestamente infondati perché denunziano violazione di norme processuali smentite dagli atti processuali per come puntualmente osservato dalla Corte territoriale, così come risulta da pagina 4 della sentenza impugnata;
ritenuto che il quarto motivo di ricorso che contesta il diniego del giudice di merito alla richiesta di rinnovo dell’istruttoria dibattimentale è inammissibile perché fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito (si veda pagina 4), dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso;
ritenuto che il quinto motivo di ricorso che denuncia violazione di norme processuali è manifestamente infondato;
considerato che con motivazione esente da vizi logici e giuridici, il giudice adito ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 6) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici in merito all’asserita remissione di querela;
ritenuto che il sesto motivo di ricorso che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità denunciando un diverso giudizio di attendibilità delle fonti di prova, in particolare delle dichiarazioni della persona offesa, non è consentito dalla legge, stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260);
che il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 5) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato;
ritenuto che il settimo e l’ottavo motivo di ricorso che denunciano l’eccessività della pena non è consentito dalla legge in sede di legittimità ed è manifestamente infondato perché, secondo l’indirizzo consolidato della giurisprudenza, la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti
per le circostanze aggravanti ed attenuanti e per fissare la pena base rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
che nella specie l’onere argomentativo del giudice è adeguatamente assolto attraverso un congruo riferimento agli elementi ritenuti decisivi o rilevanti (si vedano, in particolare pagg. 6-7 della sentenza impugnata);
che, con particolare riguardo alla denuncia di violazione del principio inerente al divieto di reformatio in peius, la rideterminazione del calcolo della pena operata dalla Corte di appello in assenza di specificazione da parte del primo giudice, non si presta a detto rilievo, in quanto la pena finale coincide con quella inflitta dal tribunale, e, per altro, che non si verte in una ipotesi di pena illegale;
rilevato che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore delle Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.