Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 6969 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 6969 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il 30/03/1981 in Albania
avverso la sentenza del 05/07/2024 della CORTE di APPELLO di MESSINA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udito il difensore di NOME COGNOME, avvocato NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso chiedendone raccoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 luglio 2024 la Corte di appello di Messina, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Patti in data 19 ottobre 2023, appellata da NOME COGNOME previa concessione delle circostanze attenuanti generiche in termini di equivalenza alle contestate aggravanti, rideterminava la pena inflitta all’imputato in misura pari ad anni quattro e mesi tre di reclusione ed euro 1.300,00 di multa, revocando le pene accessorie e confermando nel resto la sentenza impugnata.
Avverso la suddetta decisione NOME COGNOME a mezzo del proprio difensore, propone ricorso per cassazione formulando tre distinti motivi per i quali chiede l’annullamento della sentenza impugnata.
2.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il vizio di manifesta illogicità della motivazione derivante: da travisamento della prova costituita dal messaggio SMS ricevuto dal ricorrente ed non attribuito erroneamente dalla Corte di appello alla persona offesa, travisamento che avrebbe reso, ad avviso della difesa, la dichiarazione di attendibilità della persona offesa manifestamente illogica; dalla omessa/errata valutazione delle circostanze emergenti della sentenza del 9 gennaio 2013 emessa dal Tribunale di Patti a carico sia della persona offesa sia del testimone a riscontro NOME COGNOME che, al pari, avrebbero consentito di rilevare la non attendibilità dei predetti testimoni.
2.2. Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’articolo 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., il vizio della motivazione per manifesta illogicità derivante dall’omessa valutazione della richiesta avanzata all’udienza del 5 luglio 2024 sia dalla Procura generale sia, in subordine, dalla difesa dell’imputato di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale con la nuova escussione della persona offesa, istanza a cui la Corte di appello non avrebbe fornito una motivazione espressa circa il diniego della predetta richiesta.
2.3. Con il terzo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., la violazione dell’art. 602 cod. proc. pen., che richiama gli artt. 523 e 178 del codice di rito. In particolare, evidenzia che il Procuratore generale non ha formulato le conclusioni, non ha chiesto la conferma della sentenza di condanna, ma solo la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, sicché la sentenza impugnata è affetta da nullità ex articolo 178 cod. proc. pen., poiché secondo la lettura congiunta degli artt. 523 e 178 cod. proc. pen., anche in appello l’iniziativa del pubblico ministero deve essere assicurata e celebrata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti dalla legge o comunque manifestamente infondati.
Quanto al primo motivo di ricorso relativo alla valutazione del compendio probatorio, in particolare con riguardo al vizio della motivazione circa la valutazione
di attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, esso risulta inammissibile. Si reputa che le motivazioni svolte risultano congrue e non certo viziate da manifesta illogicità e/o contraddittorietà, al pari di quelle contenute nella sentenza del Tribunale di Patti che la Corte territoriale ha richiamato espressamente, con cui si saldano costituendo un unico corpo decisionale, come sostenuto più volte dalla Suprema Corte secondo cui: «Ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, ricorre la c.d. “doppia conforme” quando la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia adottando gli stessi criteri utilizzati ne valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale» (così tra le tante Sez.2, n.37295, del 12/06/2019, E., Rv.277218-01). Va, altresì, evidenziato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto dell legge n. 46 del 2006, non consente alla Corte di legittimità di sovrapporre la propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di merito, mentre comporta che la rispondenza delle dette valutazioni alle acquisizioni processuali possa essere dedotta sotto lo stigma del cosiddetto travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile ictu ocuii, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 3, n. 18521 dei 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099-01; Sez. 4, n.35683 del 10/07/2007, Rv. 237652-01), tutte circostanze che non ricorrono nel caso di specie. Infatti, la Corte di appello ha motivato puntualmente in ordine alla piena attendibilità della persona offesa, valutazione che non può essere sindacata, come detto, in sede di legittimità ove sorretta da argomentazioni adeguate e specifiche rispetto alle censure mosse nell’atto di appello, a fronte delle quali il ricorrente si è limitato a fornire la alternativa ricostruzione dei fatti. Quanto, infine, all’omessa valutazione del contenuto del messaggio SMS, al di là dell’incertezza della sua provenienza come ritenuta dalla Corte di appello, in ogni caso non è dato cogliere nel motivo di ricorso la sua decisività ai fini dell’annullamento della sentenza impugnata. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Giova ricordare che la Suprema Corte, in tema di rinnovazione dibattimentale, ha affermato il principio, che qui si intende ribadire, secondo cui: «In tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nell’ipotesi di cui all’art. 603, comma 1, cod. proc. pen. la
riassunzione di prove già acquisite o l’assunzione di quelle nuove è subordinata alla condizione che i dati probatori raccolti in precedenza siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività, mentre, nel caso previsto dal secondo comma, il giudice è tenuto a disporre l’ammissione delle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado negli stessi termini di cui all’art. 495, cod. proc. pen., con il solo limite costituito dalle richieste concernen prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. (In motivazione la Corte ha affermato che, nella prima ipotesi, le ragioni di rigetto possono essere anche implicite nell’apparato motivazionale della decisione adottata, mentre, nel secondo caso, la giustificazione del rigetto deve risultare in modo espresso e compiuto)» (così Sez.3, n.47963 del 13/09/2016, Rv.268657-01). Nel caso di specie, si rileva che la sentenza impugnata, seppure implicitamente, ha spiegato le ragioni per le quali ha ritenuto non necessaria la rinnovazione dell’audizione testimoniale della persona offesa, motivando circa la sua piena credibilità e sull’irrilevanza delle minime divergenze riscontrate nelle sue dichiarazioni, rese a distanza di oltre sei anni dai fatti. Il fatto di non aver esplicitato in mani espressa le ragioni del rigetto dell’istanza di rinnovazione dibattimentale, non comportano, nel caso di specie, alcun vizio della motivazione.
2.2. Il terzo motivo è inammissibile per due diverse ragioni: in primo luogo, la deduzione della difesa non risulta esatta, dato che il sostituto P.G. in udienza ha comunque svolto delle conclusioni consistite nella richiesta di rinnovazione dibattimentale di cui sopra. In secondo luogo, si rileva che il ricorrente non ha indicato il suo concreto interesse ad avere le conclusioni definitive del sostituto Procuratore Generale, in quanto non vi è alcun dato che consente di presumere che questi avrebbe chiesto la riforma della sentenza di primo grado e la possibile incidenza sulla decisione dei giudici di appello. Peraltro, la necessità di un interesse concreto in capo al ricorrente si ricava, mutatis mutandis, dal consolidato orientamento giurisprudenziale in tema di tardivo deposito delle conclusioni scritte nel rito a trattazione cartolare. La Suprema Corte, infatti, anche di recente ha ribadito il principio secondo cui: «Nel rito a trattazione scritta, i termini pe deposito delle conclusioni delle parti, pur in mancanza di espressa indicazione, devono ritenersi perentori, essendo imprescindibilmente funzionali a consentire il corretto svilupparsi del contraddittorio, sicché il deposito tardivo esime il giudice dal tenere conto delle conclusioni ai fini della decisione, fermo restando che l’imputato non può limitarsi a lamentare un generico pregiudizio del proprio diritto di difesa, dovendo dedurre un’effettiva incidenza delle conclusioni intempestive rispetto
all’esito del giudizio» (così Sez.6, n.22919 del 24/04/2024, Rv.286664-0 conf. Sez.5, n.8131 del 24/01/2023, Rv.284369-01). Ne consegue che la mera irritualità procedurale non risulta sanzionabile ex se, difettando a tal fine l’allegazione di una concreta lesione al diritto di difesa da far valere in sede di ricorso per cassazione.
Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si si ritiene equa di euro tremila a favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa per le ammende.
Così deciso in Roma il 12 dicembre 2024
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Il Consigliere estensore
La Presidente