Ricorso Inammissibile: La Cassazione e i Limiti del Giudizio di Legittimità
L’ordinanza della Corte di Cassazione in esame offre un chiaro esempio di come un ricorso inammissibile venga trattato nel nostro sistema giuridico. Quando un’impugnazione si limita a riproporre questioni di fatto già valutate nei precedenti gradi di giudizio, la Corte Suprema interviene per ribadire i confini invalicabili tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. Questo caso evidenzia l’importanza di formulare un ricorso che si concentri esclusivamente su vizi di legge e non su una semplice riconsiderazione delle prove.
I Fatti del Caso e la Decisione della Corte d’Appello
Il caso ha origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino. Il ricorrente contestava principalmente due aspetti della decisione di secondo grado: l’applicazione della recidiva e il trattamento sanzionatorio ritenuto eccessivo. Sostanzialmente, la difesa chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare le valutazioni che avevano portato i giudici dei gradi inferiori a determinare la pena in quel modo specifico.
Analisi del ricorso inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha stroncato le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. La Corte ha sottolineato che le doglianze presentate non configuravano vizi di legittimità, bensì costituivano una “mera rivalutazione di merito”. In altre parole, il ricorrente non contestava un errore nell’applicazione della legge, ma esprimeva il proprio disaccordo con la valutazione dei fatti compiuta dai giudici precedenti. Questo tipo di argomentazione è tipico dei primi due gradi di giudizio (merito) e non può trovare spazio davanti alla Cassazione, il cui compito è assicurare l’uniforme interpretazione della legge.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando che le censure sulla recidiva e sulla pena erano tipiche di “impugnazioni proprie dei gradi di giudizio del merito”. Per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, i giudici hanno rilevato che la motivazione della sentenza d’appello era “sussistente e adeguata”, e quindi non criticabile in sede di legittimità. La manifesta infondatezza dell’impugnazione ha portato inevitabilmente alla declaratoria di inammissibilità.
La decisione si fonda anche sul richiamo alla sentenza n. 186/2000 della Corte Costituzionale, la quale stabilisce che, in assenza di elementi che dimostrino una “colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna alle spese e al versamento di una somma alla Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata equitativamente fissata in 3.000,00 euro.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti. Per avere successo, un ricorso deve identificare specifici errori di diritto o vizi di motivazione (come la sua totale assenza o la sua manifesta illogicità) nella sentenza impugnata. La conseguenza di un ricorso mal impostato, che si limiti a una sterile critica delle valutazioni di merito, non è solo il rigetto, ma anche una condanna economica per il ricorrente. Questa decisione serve da monito: le impugnazioni in sede di legittimità richiedono un’argomentazione tecnica e giuridicamente rigorosa, focalizzata esclusivamente sui profili consentiti dalla legge.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile se, invece di contestare vizi di legittimità (errori nell’applicazione della legge), si limita a proporre una mera rivalutazione dei fatti già esaminati nei precedenti gradi di giudizio, come la contestazione sull’applicazione della recidiva o sulla congruità della pena.
Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in 3.000 euro.
È sufficiente non essere d’accordo con la pena decisa dal giudice per fare ricorso in Cassazione?
No, non è sufficiente. Secondo l’ordinanza, la contestazione sul trattamento sanzionatorio è inammissibile se la motivazione della sentenza precedente è considerata “sussistente e adeguata”. Il ricorso deve dimostrare un errore di diritto o un vizio logico nella motivazione, non un semplice disaccordo con la valutazione del giudice di merito.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12578 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12578 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 10/10/1999
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
1. GLYPH Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile: si propone una mera rivalutazione di merito quanto alla contestata applicazione della recidiva. Quanto alla contestazione sul trattamento sanzionatorio emerge una motivazione sussistente e adeguata come tale non sindacabile in questa sede a fronte ancora una volta di argomentazioni tipiche di impugnazioni proprie dei gradi di giudizio del merito piuttosto che di un ricorso in sede di legittimità.
Non può quindi che concludersi nel senso dell’inammissibilità del ricorso, stante la manifesta infondatezza dell’impugnazione.
Tenuto altresì conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 20.12.2024