Ricorso Inammissibile: la Cassazione ribadisce i limiti del giudizio di legittimità
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema del ricorso inammissibile, chiarendo ancora una volta la distinzione fondamentale tra il sindacato di legittimità e il giudizio di merito. La decisione offre spunti cruciali per comprendere quali motivi possono essere validamente presentati davanti alla Suprema Corte e quali, invece, si traducono in una inaccettabile richiesta di rivalutazione dei fatti, destinata a essere respinta.
I Fatti del Processo
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. Il ricorrente contestava la congruità del trattamento sanzionatorio ricevuto, sostenendo che i giudici di merito non avessero adeguatamente considerato alcuni elementi a suo favore. Tra questi, venivano citati la collaborazione prestata, la scelta di un rito processuale abbreviato, l’ammissione dell’addebito e l’esigua quantità di sostanza stupefacente oggetto del reato. Le doglianze si concentravano sulla violazione degli articoli 133 e 62 bis del codice penale, relativi ai criteri di commisurazione della pena e alla concessione delle attenuanti generiche.
L’analisi del ricorso inammissibile da parte della Corte
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso totalmente inammissibile. I giudici hanno osservato che l’appellante, lungi dall’individuare uno specifico vizio di violazione di legge o un difetto di motivazione, si era limitato a operare ‘deduzioni meramente rivalutative’. In altre parole, il ricorso non contestava la logicità del ragionamento della Corte d’Appello, ma proponeva una diversa lettura degli elementi di fatto, sperando in un esito più favorevole.
La Suprema Corte ha sottolineato come la sentenza impugnata avesse, in realtà, fornito una motivazione chiara e coerente. I giudici di secondo grado avevano spiegato il giudizio di equivalenza tra le attenuanti generiche (concesse per il comportamento processuale) e l’aggravante della recidiva, valorizzando al contempo il curriculum criminale dell’imputato e la gravità del fatto. Di fronte a questa motivazione, il ricorrente non aveva instaurato un confronto critico, ma si era semplicemente ‘indugiato in una personale rivalutazione di dati’.
Il Principio del Sindacato di Legittimità
La decisione riafferma un principio cardine del nostro sistema processuale: il giudizio della Corte di Cassazione è un ‘sindacato di legittimità’, non un terzo grado di merito. Questo significa che la Corte non può riesaminare le prove o sostituire la propria valutazione dei fatti a quella dei giudici precedenti.
Perché una critica alla motivazione possa essere accolta, non è sufficiente lamentare la mancata considerazione di un elemento. È necessario che il vizio denunciato (mancanza, illogicità o contraddittorietà) sia di tale spessore da risultare percepibile ictu oculi, cioè a colpo d’occhio. Devono emergere difetti di macroscopica evidenza, mentre ‘minime incongruenze’ o deduzioni difensive che siano semplicemente ‘logicamente incompatibili’ con la decisione adottata non sono sufficienti, specialmente se la sentenza fornisce una spiegazione logica e adeguata del proprio convincimento.
le motivazioni
La Corte ha motivato la sua decisione di inammissibilità sulla base della natura stessa del ricorso. Le argomentazioni della difesa non erano mirate a evidenziare un errore nell’applicazione della legge o un’aporia logica nel percorso argomentativo della sentenza d’appello. Al contrario, rappresentavano un tentativo di riaprire la discussione sul merito della vicenda, chiedendo alla Cassazione di attribuire un peso diverso a elementi (collaborazione, ammissione, quantità della droga) che erano già stati vagliati e bilanciati dal giudice precedente nel quadro complessivo della decisione. Questo tipo di richiesta esula completamente dalle funzioni della Corte di Cassazione, la quale non può sindacare il merito delle valutazioni, ma solo la loro correttezza giuridica e logica formale.
le conclusioni
L’ordinanza si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso e la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito: un ricorso per cassazione deve essere tecnicamente impeccabile, focalizzato su precisi vizi di legittimità e non può essere utilizzato come un’ulteriore opportunità per discutere i fatti del processo. La distinzione tra critica alla motivazione e rivalutazione del merito è netta e invalicabile.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché, invece di individuare specifici vizi di violazione di legge o di motivazione nella sentenza impugnata, si limitava a proporre una personale rivalutazione dei fatti già esaminati e decisi dalla Corte d’Appello.
Quali sono i requisiti per contestare la motivazione di una sentenza in Cassazione?
Per contestare validamente la motivazione, i vizi denunciati (mancanza, illogicità, contraddittorietà) devono essere di ‘macroscopica evidenza’ e percepibili ‘ictu oculi’ (a colpo d’occhio). Non sono sufficienti minime incongruenze o argomenti semplicemente incompatibili con la decisione, se questa è sorretta da un ragionamento logico e adeguato.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro (in questo caso, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 26328 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 26328 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 04/05/2023 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Il ricorso proposto nell’interesse di RAGIONE_SOCIALE NOME è inammissibile siccome lungi dall’individuare uno specifico vizio di violazione di legge e di motivazione, si limita a citare in rubrica gli artt. 133 e 62 bis c.p., operando deduzioni meramente rivalutative nella misura in cui si asserisce la mancata illustrazione della congruità del trattamento sanzionatorio e la avvenuta rappresentazione in appello di elementi non considerati, quali la collaborazione prestata, la scelta del rito, l’ammissione dell’addebito oltre che l’esiguo quantitativo di droga. Il tutto senza confronto con la sentenza, che spiega il giudizio di equivalenza, con la recidiva, delle attenuanti generiche, concesse per il comportamento processuale, valorizza il curriculum criminale, la gravità del fatto, così spiegando il trattamento sanzionatorio nel quadro di una lettura complessiva della decisione, laddove il ricorrente, invece, indugia, lo si ripete, in una personale rivalutazione di dati, sebbene in questa sede sia escluso ogni sindacato di merito. Quanto alle ritenute mancate considerazioni di doglianze difensive, a fronte della assenza della individuazione di passaggi motivazionali e di precisi vizi da cui sarebbero affetti, con puntuale indicazione delle ragioni giustificative di tali asserzioni (attività che costituisce il nucleo imprescindibil per impostare un ricorso che possa ambire ad essere accolto), è sufficiente ricordare che, in ogni caso, le doglianze difensive, con specifico riferimento ai vizi di mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione, devono rappresentare – diversamente dal caso di specie – deficit di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità vertere su difet di macroscopica evidenza, mentre rimangono ininfluenti le minime incongruenze e si devono considerare disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici – come nel caso in esame – (cfr., Sez. un., n. 24 del 24 novembre 1999, Rv. n. 214794; Sez. un., n. 12 del 31 maggio 2000, Rv. n. 216260; Sez. un., n. 47289 del 24 settembre 2003, Rv. n. 226074). Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell Ammende.
Così deciso il 26.1.2024