Ricorso Inammissibile: la Cassazione chiarisce i limiti della riproposizione
Quando un’istanza viene rigettata, è possibile ripresentarla all’infinito? La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20296 del 2024, torna su un principio fondamentale della procedura penale: la presentazione di un ricorso inammissibile perché mera riproposizione di una richiesta già decisa. Questa pronuncia ribadisce che, in assenza di nuovi elementi, insistere sulla stessa questione non solo è inutile, ma comporta conseguenze negative per il proponente.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine dal ricorso presentato da un soggetto avverso un’ordinanza del Tribunale di Agrigento. Quest’ultimo aveva dichiarato inammissibile un’istanza con cui si chiedeva di accertare l’illegalità di una pena inflitta con una sentenza divenuta irrevocabile nel 2016. Il Tribunale aveva basato la sua decisione sul fatto che la richiesta non era altro che la ripetizione di una precedente istanza, già esaminata e respinta.
Di fronte a questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso per Cassazione, portando la questione all’attenzione della Suprema Corte.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale di Agrigento, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno stabilito che l’istanza originaria costituiva una semplice riproposizione di una richiesta già decisa, senza l’introduzione di nuovi fatti o questioni giuridiche. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la preclusione processuale da riproposizione e il ricorso inammissibile
Il cuore della decisione risiede nell’applicazione dell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma consente al giudice dell’esecuzione di dichiarare de plano, cioè senza formalità, l’inammissibilità di un’istanza che si limita a reiterare una richiesta già rigettata.
La Corte chiarisce che tale meccanismo dà vita a una “preclusione allo stato degli atti”. Questo significa che, una volta che un giudice si è pronunciato su una determinata questione, quella stessa questione non può essere riproposta. Tuttavia, a differenza di quanto avviene nel processo di cognizione, questa preclusione non è assoluta. Può essere superata, ma solo a una condizione precisa: che l’istante deduca fatti nuovi o questioni giuridiche che non erano state oggetto della precedente decisione.
Nel caso specifico, il ricorrente non ha fornito alcun nuovo elemento. La sua istanza era identica alla precedente, configurandosi come una mera reiterazione. In tale scenario, il Tribunale di Agrigento ha correttamente applicato il principio di preclusione, e la Cassazione non ha potuto che confermare la sua decisione, ribadendo un orientamento giurisprudenziale consolidato.
Le Conclusioni: l’importanza di addurre nuovi elementi
L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica: insistere su una questione già decisa dalla magistratura senza portare nuovi argomenti è una strategia processuale destinata al fallimento. Il sistema giudiziario prevede meccanismi, come la preclusione processuale, per evitare la duplicazione di attività e garantire l’efficienza della giustizia. Per superare una precedente decisione sfavorevole in fase esecutiva, è indispensabile basare la nuova istanza su elementi concreti e diversi da quelli già valutati, siano essi fatti sopravvenuti o argomentazioni giuridiche non ancora esaminate. In caso contrario, il risultato sarà non solo un ricorso inammissibile, ma anche una condanna al pagamento di spese e sanzioni pecuniarie.
Quando un ricorso in fase esecutiva penale viene considerato inammissibile per riproposizione?
Un ricorso è considerato inammissibile quando si limita a reiterare una precedente istanza già rigettata, senza addurre fatti o questioni giuridiche nuove che non siano state oggetto della decisione anteriore.
Cosa si intende per “preclusione allo stato degli atti” secondo l’art. 666 c.p.p.?
Significa che una questione già decisa dal giudice dell’esecuzione non può essere nuovamente esaminata. Questa preclusione non è assoluta e può essere superata solo se vengono presentati nuovi elementi fattuali o giuridici.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Cassazione?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria da versare alla Cassa delle ammende. Nel caso di specie, tale somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20296 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20296 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 26/01/2024 del TRIBUNALE di AGRIGENTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
EsamiNOME il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 26 gennaio 2024, con la quale il Tribunale di Agrigento dichiarava inammissibile l’istanza proposta da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere la declaratoria di illegalità della pena che gli era stata irrogata con la sentenza irrevocabile emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania il 22 luglio 2016.
Ritenuto che l’istanza presentata da NOME, costituendo una mera riproposizione della richiesta già decisa dal Tribunale di Agrigento, imponeva l’applicazione dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l’istante si limita a reiterar un’istanza precedentemente rigettata, configurandosi, in tali casi, una preclusione allo stato degli atti, superabile quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della pregressa decisione (tra le altre, Sez. 3, n. 5195 del 05/12/2003, COGNOME, Rv. 227329 – 01; Sez. 1, n. 3736 del 15/01/2009, Anello, Rv. 242533 – 01).
Ritenuto che tali conclusioni appaiono pienamente rispettose della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la preclusione processuale di cui all’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., non opera in senso assoluto e inderogabile – coprendo ogni questione processuale dedotta e deducibile, al contrario di quanto si verifica nel processo di cognizione, con il quale non può stabilirsi un’assimilazione sistematica sul punto – ma comporta una valutazione allo stato degli atti, tenendo conto della prospettazione difensiva (tra le altre, Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231799 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 9 maggio 2024.