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Ricorso inammissibile: quando è mera ripetizione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34897/2024, ha dichiarato un ricorso inammissibile poiché i motivi presentati erano una mera ripetizione di quelli già respinti in appello. La Corte ha ribadito che il suo ruolo non è rivalutare i fatti, ma verificare la corretta applicazione della legge. La decisione ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 18 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Il Ricorso in Cassazione: i confini tra critica legittima e richiesta di un terzo grado di giudizio

Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma le sue porte non sono aperte a qualsiasi tipo di doglianza. Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce ancora una volta i paletti che definiscono un ricorso inammissibile, soprattutto quando questo si trasforma in una mera ripetizione delle argomentazioni già esaminate e respinte nei gradi di merito. L’analisi del provvedimento offre spunti fondamentali per comprendere la natura e i limiti del giudizio di legittimità.

I fatti alla base del ricorso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello. I motivi del ricorso si concentravano su un presunto vizio di motivazione e sulla violazione di legge in merito all’affermazione della sua responsabilità penale e alla valutazione delle prove. L’imputato, in sostanza, contestava le conclusioni a cui erano giunti i giudici di merito, ritenendo che le prove a suo carico non fossero state correttamente interpretate.

La decisione della Corte sul ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine della procedura penale: il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, non un terzo grado di merito. Questo significa che la Corte non può essere chiamata a effettuare una nuova valutazione dei fatti o a riconsiderare l’attendibilità delle fonti di prova. Il suo compito è esclusivamente quello di verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica, coerente e non palesemente contraddittoria.

Le motivazioni della Corte

Nel dettaglio, la Suprema Corte ha evidenziato come i motivi proposti dal ricorrente fossero privi di specificità. Essi non introducevano nuove critiche di natura giuridica alla sentenza impugnata, ma si limitavano a una ‘pedissequa reiterazione’ delle censure già sollevate dinanzi alla Corte d’Appello. I giudici di secondo grado avevano già analizzato e puntualmente disatteso tali argomentazioni con ‘corretti argomenti logici e giuridici’.

La Corte ha ribadito che sollecitare una diversa lettura dei dati processuali o una ricostruzione storica dei fatti alternativa a quella del giudice di merito esula completamente dalle sue competenze. Non è possibile, in sede di legittimità, contrapporre una valutazione a un’altra, anche se potenzialmente logica, perché ciò si tradurrebbe in un inammissibile riesame del merito della causa. A sostegno di questa posizione, l’ordinanza richiama un consolidato orientamento giurisprudenziale, citando numerose sentenze che hanno stabilito con chiarezza i limiti del sindacato di legittimità.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame è un monito importante: per accedere al giudizio di Cassazione non è sufficiente essere in disaccordo con la decisione dei giudici di merito. È necessario formulare censure specifiche che colpiscano la sentenza per vizi di legittimità, come l’errata applicazione di una norma di legge o un difetto manifesto nella struttura logica della motivazione. La semplice riproposizione dei motivi d’appello, senza un’argomentazione critica mirata a evidenziare tali vizi, conduce inevitabilmente a una declaratoria di ricorso inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, che nel caso di specie è stata fissata in tremila euro. Questo principio garantisce l’efficienza del sistema giudiziario, evitando che la Corte Suprema venga sommersa da impugnazioni che mirano impropriamente a ottenere un terzo giudizio sui fatti.

Per quale motivo un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso può essere dichiarato inammissibile se è privo di specificità, ovvero se si limita a ripetere in modo pedissequo le argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza sollevare nuove e specifiche questioni sulla corretta applicazione della legge o sulla logicità della motivazione.

Cosa significa che la Corte di Cassazione svolge un ‘sindacato di legittimità’?
Significa che il suo compito non è rivalutare i fatti, le prove o l’attendibilità dei testimoni, ma solo controllare che i giudici dei gradi precedenti abbiano applicato correttamente le norme giuridiche e che il loro ragionamento (la motivazione della sentenza) sia logico e privo di palesi contraddizioni.

Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile?
La persona che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a titolo di sanzione, in questo specifico caso pari a 3.000 euro, da versare alla Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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