Ricorso Inammissibile: Quando la Genericità Costa Cara
Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione richiede precisione e tecnicismo. Non è sufficiente essere in disaccordo con una sentenza; è necessario individuare specifici vizi di legge. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci ricorda questa regola fondamentale, dichiarando un ricorso inammissibile proprio a causa della genericità dei motivi proposti. Questa analisi esplorerà le ragioni di tale decisione, offrendo spunti cruciali per comprendere i limiti del giudizio di legittimità.
I Fatti del Processo
Il caso nasce dal ricorso di un imputato avverso una sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello di Palermo. Il ricorrente sollevava tre principali motivi di doglianza:
1. Contestazione della propria responsabilità penale, sia sotto il profilo probatorio che per il mancato proscioglimento per particolare tenuità del fatto (ai sensi dell’art. 131-bis c.p.).
2. Critica al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo.
L’imputato, in sostanza, chiedeva alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove e di valutare diversamente la gravità della sua condotta e la pena inflitta.
La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha respinto integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Questa decisione non entra nel merito delle questioni (non stabilisce se l’imputato fosse colpevole o se la pena fosse giusta), ma si ferma a un livello preliminare: l’appello era formulato in modo non corretto e, pertanto, non poteva essere esaminato. Il ricorrente è stato inoltre condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Suprema Corte: la critica alla genericità
La Corte ha basato la sua decisione su due pilastri argomentativi distinti, uno per ciascun gruppo di motivi presentati.
La Mancanza di Specificità sulla Responsabilità Penale
Riguardo ai primi due motivi, con cui si contestava la colpevolezza, la Corte ha sottolineato la loro totale assenza di “concreta specificità”. I giudici hanno osservato che le argomentazioni del ricorrente non individuavano vizi di legittimità (come un’errata applicazione della legge o un palese travisamento della prova), ma miravano a:
* Ottenere una rivalutazione delle fonti di prova, proponendo una lettura alternativa dei fatti.
* Introdurre criteri di valutazione diversi da quelli legittimamente adottati dal giudice di merito.
La Cassazione ha ribadito un principio cardine: il suo ruolo non è quello di un “terzo grado di giudizio” dove si può ridiscutere l’intero processo. Il ricorso deve, invece, essere un dialogo critico con la sentenza impugnata, evidenziando specifici errori logici o giuridici commessi dal giudice precedente. Un motivo è generico non solo quando è vago, ma anche quando ignora completamente le argomentazioni della decisione appellata, riproponendo le stesse difese senza confrontarsi con le risposte già fornite.
Il Trattamento Sanzionatorio e la Discrezionalità del Giudice
Anche il terzo motivo, relativo alla quantificazione della pena, è stato giudicato inammissibile. La Corte ha ricordato che la determinazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito. Tale decisione non è sindacabile in Cassazione se è supportata da una motivazione sufficiente e non illogica o arbitraria.
Nel caso specifico, il giudice d’appello aveva fatto riferimento agli elementi dell’art. 133 del codice penale e aveva definito la pena “congrua” ed “equa”. Secondo la Suprema Corte, questa motivazione è adeguata, soprattutto quando la pena inflitta è inferiore alla media prevista dalla legge per quel reato. Non è richiesta una motivazione analitica per ogni singolo aspetto della pena, ma un richiamo logico ai criteri di legge, cosa che era avvenuta.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza offre una lezione preziosa: un ricorso per cassazione deve essere un’operazione chirurgica, non un attacco generico a una sentenza sgradita. Le implicazioni pratiche sono chiare: per avere una possibilità di successo, è indispensabile che i motivi di ricorso individuino con precisione i vizi di legittimità della decisione impugnata, evitando di trasformare l’appello in una richiesta di nuovo processo. La genericità e la mera riproposizione di argomenti già respinti conducono inevitabilmente a una declaratoria di ricorso inammissibile, con conseguente condanna alle spese e la definitiva conferma della sentenza precedente.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso viene dichiarato inammissibile se è privo di concreta specificità, ovvero se non individua precisi errori di legge o vizi logici nella sentenza impugnata, ma tende a richiedere una nuova valutazione delle prove o una ricostruzione alternativa dei fatti, compiti che non spettano alla Corte di Cassazione.
È possibile contestare in Cassazione la quantità della pena decisa dal giudice?
No, non è possibile se la contestazione si basa su una generica valutazione di merito. La graduazione della pena è un esercizio del potere discrezionale del giudice e può essere contestata in Cassazione solo se la motivazione è palesemente illogica, arbitraria o del tutto assente, non quando è semplicemente succinta ma ancorata ai criteri di legge.
Cosa significa che un motivo di ricorso è generico?
Un motivo è considerato generico non solo quando è vago e indeterminato, ma anche quando non si confronta specificamente con le ragioni argomentate nella decisione impugnata. Ignorare le motivazioni del giudice e riproporre le stesse argomentazioni senza criticarle punto per punto porta al vizio di mancanza di specificità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2291 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2291 Anno 2024
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME, nato ad Annecy (Francia) il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/03/2023 della Corte d’appello di Palermo
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che i primi due motivi di ricorso, con i quali si contesta l’affermazione in ordine alla penale responsabilità, sia in punto di prova dei reati ascritti, che in relazione al mancato proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., sono privi di concreta specificità e tendono a prefigurare una rivalutazione delle fonti probatorie e/o un’alternativa ricostruzione dei fatti mediante criteri d valutazione diversi da quelli adottati dal giudice del merito, estranee al sindacato del presente giudizio ed avulse da pertinente individuazione di specifici e decisivi travisamenti di emergenze processuali valorizzate dai giudicanti;
che, invero, la mancanza di specificità del motivo deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra la complessità delle ragioni argomentate nella decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, queste non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato, senza cadere nel vizio di mancanza di specificità;
che, nella specie, i giudici del merito hanno ampiamente vagliato e disatteso, con corretti argomenti logici e giuridici, le doglianze difensive dell’appello, meramente riprodotte in questa sede (si vedano, in particolare, le pagg. 5 e 6);
considerato che il terzo motivo di ricorso, inerente al trattamento sanzionatorio, non è consentito in quanto, trattandosi di esercizio della discrezionalità attribuita al giudice del merito, la graduazione della pena – sia con riguardo alla individuazione della pena base che in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previste per le circostanze e per i reati in continuazione – non può costituire oggetto di ricorso per cassazione laddove la relativa determinazione, sorretta da sufficiente motivazione, non sia stata frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico;
che, nel caso di specie, l’onere argomentativo del giudice è stato adeguatamente assolto attraverso il richiamo agli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. ritenuti decisivi o rilevanti ovvero attraverso espressioni del tipo “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, non essendo necessaria una specifica e dettagliata motivazione nel caso in cui venga irrogata una pena inferiore alla media edittale (si veda, in particolare, la pag. 7);
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, il 12 dicembre 2023.