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Ricorso inammissibile patteggiamento: limiti legali

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso contro una sentenza di patteggiamento, poiché i motivi addotti non rientravano tra quelli tassativamente previsti dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Il caso sottolinea i ristretti limiti di impugnazione per questo rito speciale, confermando che un ricorso inammissibile patteggiamento comporta la condanna alle spese processuali e a una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile patteggiamento: La Cassazione chiarisce i limiti

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini invalicabili per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento. La decisione evidenzia come un ricorso inammissibile patteggiamento non solo sia destinato al fallimento, ma comporti anche precise conseguenze economiche per il ricorrente. Questo provvedimento offre un importante spunto per analizzare la portata dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale e comprendere quando e come si possa contestare un accordo sulla pena.

I Fatti del Processo

Il caso trae origine da una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (comunemente nota come patteggiamento) emessa dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Torino. L’imputato, attraverso il proprio difensore, ha deciso di contestare tale sentenza, presentando ricorso direttamente in Cassazione.

Nel suo ricorso, l’imputato lamentava un’erronea applicazione di una norma del codice penale, l’articolo 648, e, di conseguenza, la violazione di una delle lettere dell’articolo 606 del codice di procedura penale, che disciplina i motivi di ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso e la decisione della Cassazione

La Suprema Corte, nell’esaminare il caso, non è entrata nel merito della doglianza, ma si è fermata a un controllo preliminare di ammissibilità. I giudici hanno immediatamente rilevato che la questione sollevata dal ricorrente non rientrava nel novero dei motivi per i quali la legge consente di impugnare una sentenza di patteggiamento.

Analisi del ricorso inammissibile patteggiamento

Il punto centrale della decisione è l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma, introdotta con la cosiddetta “Riforma Orlando” (legge n. 103/2017), ha drasticamente limitato la possibilità di appellare le sentenze emesse a seguito di patteggiamento. La logica del legislatore è stata quella di deflazionare il carico giudiziario e di dare maggiore stabilità agli accordi raggiunti tra accusa e difesa. Un ricorso inammissibile patteggiamento è, dunque, quello che non si attiene scrupolosamente a questi limiti.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione ha motivato la propria decisione di inammissibilità in modo chiaro e lineare. Ha ricordato che, in base alla normativa vigente, il ricorso avverso una sentenza di patteggiamento è proponibile esclusivamente per i seguenti motivi:

1. Vizi della volontà: se l’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare è stata viziata (ad esempio, per errore o violenza).
2. Difetto di correlazione: se c’è una mancata corrispondenza tra la richiesta di patteggiamento e quanto deciso nella sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica: se il giudice ha sbagliato a qualificare giuridicamente il fatto oggetto del reato.
4. Illegalità della pena: se la pena applicata o la misura di sicurezza disposta sono illegali.

Poiché l’impugnazione presentata nel caso di specie si collocava al di fuori di questo perimetro, deducendo motivi non consentiti, la Corte non ha potuto fare altro che dichiararla inammissibile de plano, ovvero senza procedere a un’udienza di discussione, sulla base della manifesta infondatezza.

Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche

La dichiarazione di inammissibilità ha avuto due conseguenze dirette e onerose per il ricorrente, come previsto dall’articolo 616 del codice di procedura penale. In primo luogo, è stato condannato al pagamento delle spese processuali. In secondo luogo, e più significativamente, è stato condannato a versare la somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria viene irrogata quando non emergono elementi per escludere la colpa del ricorrente nell’aver proposto un’impugnazione priva dei presupposti di legge. La decisione della Corte Costituzionale (sent. n. 186/2000) citata nell’ordinanza conferma la legittimità di tale sanzione, che mira a scoraggiare ricorsi dilatori o palesemente infondati.

È sempre possibile impugnare una sentenza di patteggiamento?
No, l’impugnazione è consentita solo per un numero limitato di motivi, come specificato dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questi includono vizi della volontà, errata qualificazione giuridica del fatto o illegalità della pena.

Quali sono le conseguenze se si presenta un ricorso per motivi non ammessi?
Se un ricorso viene proposto per motivi non previsti dalla legge, la Corte di Cassazione lo dichiara inammissibile. Come stabilito nel provvedimento, questo comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Perché il ricorrente è stato condannato a pagare una somma alla Cassa delle ammende?
La condanna è una conseguenza automatica prevista dall’art. 616 c.p.p. per i ricorsi inammissibili. Si basa sulla presunzione di colpa del ricorrente nell’aver avviato un’impugnazione senza rispettare i requisiti di legge, a meno che non vi siano elementi che possano escludere tale colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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