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Ricorso inammissibile patteggiamento: limiti ex art. 448

Un soggetto, dopo aver concordato una pena tramite patteggiamento, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando la mancata valutazione di una causa di non punibilità. La Corte Suprema ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo che i motivi per impugnare una sentenza di patteggiamento sono tassativamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., e tra questi non figura quello sollevato. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile Patteggiamento: Quando l’Appello è Vietato

L’istituto del patteggiamento rappresenta una delle vie più comuni per la definizione dei procedimenti penali, ma quali sono i limiti per impugnare la sentenza che ne deriva? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha chiarito la questione, dichiarando un ricorso inammissibile patteggiamento e condannando il ricorrente a una pesante sanzione. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere le rigide condizioni poste dal legislatore per contestare un accordo sulla pena.

I Fatti del Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso

La vicenda ha origine da una sentenza del Giudice dell’Udienza Preliminare di Pescara, che, su accordo delle parti (patteggiamento), applicava a un imputato la pena di cinque mesi e diciassette giorni di reclusione e 150,00 euro di multa per un reato specifico. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. Il motivo del ricorso era uno solo: la presunta violazione di legge per omessa valutazione, da parte del giudice, della possibile esistenza di cause di non punibilità, come previsto dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

La Decisione della Corte: Il Ricorso Inammissibile Patteggiamento

La Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta senza nemmeno entrare nel merito della questione. La decisione si fonda su una regola procedurale molto precisa, introdotta con la riforma del 2017: l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso contro una sentenza di patteggiamento. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo addotto dal difensore non rientrava in questa lista chiusa.

I Motivi Ammessi per l’Impugnazione

L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. limita la possibilità di ricorso ai seguenti casi:

* Problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato di patteggiare.
* Difetto di correlazione tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza emessa.
* Erronea qualificazione giuridica del fatto.
* Illegalità della pena o della misura di sicurezza applicata.

La censura relativa alla mancata valutazione di cause di proscioglimento non rientra in nessuna di queste categorie, rendendo di fatto il ricorso privo di fondamento legale.

Le Motivazioni

La Corte ha agito in stretta conformità con la volontà del legislatore. La riforma del 2017 (nota come Riforma Orlando) aveva lo scopo preciso di deflazionare il carico di lavoro della Cassazione, limitando le impugnazioni contro sentenze che nascono da un accordo tra le parti. L’idea di fondo è che, una volta raggiunto un patteggiamento, la sentenza dovrebbe acquisire una stabilità quasi definitiva, salvo che per vizi macroscopici e specificamente individuati. Consentire un ricorso per motivi generici, come la mancata valutazione di cause di non punibilità, vanificherebbe lo scopo dell’istituto, trasformando un procedimento deflattivo in una potenziale fonte di ulteriori contenziosi. Pertanto, la declaratoria di inammissibilità è stata una conseguenza diretta e inevitabile dell’applicazione della norma.

Le Conclusioni

Le implicazioni pratiche di questa ordinanza sono chiare e severe. Chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento deve essere consapevole dei rischi e dei limiti strettissimi imposti dalla legge. Un ricorso basato su motivi non consentiti non solo verrà respinto, ma comporterà anche conseguenze economiche significative. In questo caso, oltre al pagamento delle spese processuali, il ricorrente è stato condannato a versare 4.000,00 euro alla Cassa delle ammende. La somma, definita dalla Corte “conforme a giustizia” dato l'”elevato coefficiente di colpa”, funge da deterrente contro la presentazione di ricorsi palesemente infondati, riaffermando la natura eccezionale dell’impugnazione nel contesto del patteggiamento.

È sempre possibile fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è consentito solo per i motivi specificamente ed esclusivamente elencati dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che sono molto limitati.

L’omessa valutazione di una causa di non punibilità (ex art. 129 c.p.p.) è un motivo valido per impugnare una sentenza di patteggiamento?
Secondo questa ordinanza, no. Tale motivo non rientra tra quelli previsti dalla legge (art. 448, comma 2-bis, c.p.p.) per poter impugnare una sentenza emessa a seguito di patteggiamento.

Cosa succede se si presenta un ricorso per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende, che in questo specifico caso è stata fissata in 4.000,00 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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