Patteggiamento: quando il ricorso in Cassazione è inammissibile?
La scelta di definire un procedimento penale con il rito del patteggiamento comporta importanti conseguenze, tra cui una significativa limitazione alla possibilità di impugnare la sentenza. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di ricorso inammissibile patteggiamento, delineando con precisione i confini entro cui la difesa può muovere le proprie censure. Analizziamo il caso per comprendere quali sono i motivi validi per contestare una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti e quali, invece, sono destinati a fallire.
I Fatti del Caso
Un imputato, a seguito di un accordo con la Procura, otteneva dal Tribunale una sentenza di patteggiamento a una pena di un anno e otto mesi di reclusione. Le accuse a suo carico erano diverse e gravi, tra cui lesioni personali, minaccia, danneggiamento e porto di oggetti atti ad offendere, tutti commessi nell’ambito di un medesimo disegno criminoso. Nonostante l’accordo raggiunto, la difesa dell’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, sollevando dubbi sulla corretta qualificazione giuridica dei fatti e sulla sussistenza di alcune condizioni di procedibilità.
I Motivi del Ricorso: una critica generica
Il ricorso si fondava essenzialmente su due punti:
1. Errata qualificazione giuridica: La difesa sosteneva che il Tribunale avrebbe dovuto valutare più approfonditamente la qualificazione giuridica dei reati contestati.
2. Mancanza della condizione di procedibilità: Veniva eccepita l’assenza della querela per i reati di minaccia e danneggiamento, un presupposto indispensabile per poter procedere penalmente per tali delitti.
In sostanza, l’imputato, dopo aver patteggiato la pena, tentava di rimettere in discussione elementi che costituiscono il nucleo dell’accordo stesso, chiedendo alla Corte di Cassazione un riesame che la legge, in questi casi, limita fortemente.
Le motivazioni del ricorso inammissibile patteggiamento
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo “patentemente generico” e, quindi, inammissibile. Le motivazioni della Corte sono state nette e si basano su principi consolidati della procedura penale.
Innanzitutto, per quanto riguarda la presunta errata qualificazione giuridica, la Corte ha richiamato l’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che la sentenza di patteggiamento può essere impugnata per errore nella qualificazione del fatto solo se questa risulta “palesemente eccentrica” rispetto al capo di imputazione. Nel caso di specie, la critica della difesa era del tutto apodittica, priva di argomentazioni specifiche che potessero dimostrare una tale palese anomalia. La Corte non può trasformarsi in un giudice di merito per rivalutare i fatti già concordati tra le parti.
In secondo luogo, e in modo ancora più decisivo, la Corte ha smontato la censura relativa alla mancanza di querela. Dagli atti processuali emergeva chiaramente che le persone offese avevano sporto querela lo stesso giorno in cui erano avvenuti i fatti. L’argomentazione della difesa era, quindi, basata su un presupposto fattuale errato. Questa circostanza ha reso superfluo ogni approfondimento sulle modifiche normative introdotte dalla Riforma Cartabia in tema di procedibilità, poiché la condizione era stata soddisfatta sin dall’inizio.
Le conclusioni
La decisione in commento ribadisce un principio fondamentale: il patteggiamento è un negozio processuale che si fonda su un accordo tra accusa e difesa. Una volta raggiunto, le possibilità di impugnazione sono circoscritte a vizi specifici e tassativamente indicati dalla legge. Non è possibile utilizzare il ricorso per cassazione come un “terzo grado” di giudizio per rimettere in discussione l’accordo. La genericità delle censure e l’infondatezza delle eccezioni procedurali portano inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Come conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, a testimonianza della temerarietà dell’impugnazione.
Quando è possibile ricorrere in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
È possibile solo per motivi specifici previsti dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questi includono, tra gli altri, il fatto che la pena applicata sia illegale, che non vi sia stato accordo tra le parti o che la qualificazione giuridica del fatto sia palesemente errata rispetto all’imputazione.
Una critica generica alla qualificazione giuridica del fatto è un motivo valido per impugnare un patteggiamento?
No. Per essere un motivo valido, l’erronea qualificazione giuridica deve essere, secondo la Corte, “palesemente eccentrica” rispetto ai fatti contestati e tale eccentricità deve emergere con “indiscussa immediatezza”. Una censura generica e non argomentata è considerata inammissibile.
Cosa accade se il ricorso contro una sentenza di patteggiamento viene dichiarato inammissibile?
Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, la cui entità è decisa dalla Corte in base ai profili di colpa nell’aver proposto un’impugnazione infondata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3458 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 5 Num. 3458 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/10/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BATTIPAGLIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/02/2023 del TRIBUNALE di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta presentata dal Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 16 febbraio 2023 il Tribunale di Salerno ha applicato la pena ex art. 444 cod. proc. pen. di un anno e otto mesi di reclusione (concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza) a NOME COGNOME per i reati, aggravati come in contestazione e commessi in esecuzione del medesimo disegno criminoso, di lesioni personali (capi 1. e 3. della rubrica), minaccia (capi 2. e 5), danneggiamento e porto di oggetto atto a offendere (capo 4.), porto d’armi (pure contemplato dal capo 5.).
Avverso il detto provvedimento, nell’interesse dell’imputato, è stato proposto ricorso per cassazione articolando un unico motivo (di seguito esposto nei limiti di cui all’art. 1 comma 1, d. att. cod. proc. pen.), segnatamente adducendo sub specie dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen. – che il Tribunale avrebbe dovuto vagliare l’es qualificazione giuridica dei fatti e avrebbe omesso di verificare la sussistenza di cause di n punibilità ex art. 129 cod. proc. pen. La difesa, in particolare, ha rassegnato che: difetterebbe la querela per il delitto di minaccia di cui al capo 2. e per il delitto di danneggiamento di capo 4; e che la motivazione della sentenza impugnata al riguardo sarebbe stereotipata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Anzitutto, l’impugnazione è patentemente generica nella parte in cui, in maniera del tutto apodittica, ha inteso muovere censure in ordine all’esatta qualificazione giuridica dei fa non occorrendo dilungarsi per osservare che, «in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, com 2 -bis cod. proc. pen. LI l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza è limitata casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione » (Sez. 5, n. 33145 del 08/10/2020, Cari, Rv. 279842 – 01).
Quanto poi all’asserito difetto della condizione di procedibilità per il reati di cui a 2. e 4., è dirimente osservare che per essi è stata sporta querela dalle persone offese il agosto 2022 (ossia lo stesso giorno dei fatti); il che rende superfluo immorare in relazione mutato regime di procedibilità posto dal d. Igs. 10 ottobre 2022, n. 150 (segnatamente, più favorevole per il delitto di cui all’art. 635 cod. pen.) – che per vero era già vigente ( dicembre 2022) allorché è stata avanzata la richiesta di applicazione della pena e si è perfezionato il negozio processuale – e alla possibilità di prospettare censure al riguardo con ricorso per cassazione alla luce del disposto dell’art. 448, comma 2 -bis, cod. proc. pen.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dell’impugnazione impone di attribuirgli profili
di colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Fail Rv. 267585 – 01).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 19/10/2023.