Ricorso inammissibile patteggiamento: i limiti stringenti dell’art. 448 c.p.p.
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di impugnazioni, chiarendo i confini entro cui è possibile contestare una sentenza emessa a seguito di patteggiamento. L’analisi del caso dimostra come il legislatore abbia voluto limitare drasticamente le possibilità di appello, rendendo di fatto il ricorso inammissibile patteggiamento se non fondato su motivi specifici e tassativi. Questo pronunciamento offre spunti cruciali per comprendere la logica deflattiva del rito speciale e le sue conseguenze pratiche per l’imputato.
I Fatti del Caso Giudiziario
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza di patteggiamento emessa dal Giudice dell’Udienza Preliminare. L’imputato lamentava, in sostanza, la mancata applicazione da parte del giudice di primo grado dell’articolo 129 del codice di procedura penale. Tale norma impone al giudice di pronunciare una sentenza di proscioglimento in ogni stato e grado del processo, qualora risulti evidente una delle cause di non punibilità previste.
Secondo la difesa, il giudice avrebbe dovuto prosciogliere l’imputato invece di applicare la pena concordata. Su questa base, il caso è giunto all’esame della Suprema Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte: il Ricorso Inammissibile Patteggiamento
La Corte di Cassazione, con una decisione netta e concisa, ha dichiarato il ricorso inammissibile. La motivazione di tale decisione si fonda interamente sull’interpretazione e l’applicazione dell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma elenca in modo tassativo i motivi per cui è possibile presentare ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento.
La Corte ha stabilito che la doglianza del ricorrente, relativa alla violazione dell’art. 129 c.p.p., non rientra in alcuna delle categorie di motivi consentiti. Di conseguenza, non potendo esaminare il merito della questione, ha rigettato l’impugnazione e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Sentenza
Il cuore della decisione risiede nella rigida interpretazione dell’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. Questa disposizione limita l’impugnazione della sentenza di patteggiamento a questioni specifiche, come l’erronea qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena applicata o la mancata osservanza di norme processuali la cui violazione è sanzionata con la nullità.
La Corte ha osservato che la presunta omessa applicazione dell’art. 129 c.p.p. non costituisce un motivo valido ai sensi della norma citata. In particolare, non si configura l’ipotesi di ‘pena illegale’, che si verifica solo quando la sanzione irrogata è qualitativamente o quantitativamente diversa da quella prevista dalla legge per quel reato, o quando non è prevista affatto. Nel caso di specie, la pena era stata concordata tra le parti e ratificata dal giudice, senza che emergessero profili di illegalità intrinseca della sanzione.
La ratio della norma è chiara: il patteggiamento è un accordo tra accusa e difesa che, una volta raggiunto e omologato dal giudice, acquisisce una stabilità quasi definitiva. Consentire un’ampia facoltà di impugnazione ne vanificherebbe lo scopo, che è quello di definire rapidamente il processo, evitando i successivi gradi di giudizio.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per chi intende impugnare una sentenza di patteggiamento. La decisione della Cassazione conferma che le vie di ricorso sono estremamente limitate e circoscritte a vizi di natura specifica e formale. Non è possibile, ad esempio, rimettere in discussione la valutazione del merito o contestare la mancata adozione di una formula di proscioglimento, a meno che non si configuri uno dei motivi tassativamente previsti. Chi accetta il patteggiamento deve essere consapevole che sta rinunciando in larga misura al diritto di appellare la decisione, in cambio di una riduzione della pena. Qualsiasi tentativo di impugnazione basato su motivi non consentiti si tradurrà, come in questo caso, in una dichiarazione di inammissibilità e in un’ulteriore condanna economica.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo sollevato (la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p.) non rientra tra le ragioni tassativamente previste dall’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale, che limitano la possibilità di impugnare una sentenza di patteggiamento.
È sempre possibile appellare una sentenza di patteggiamento?
No, non è sempre possibile. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. stabilisce che il ricorso per Cassazione contro una sentenza di patteggiamento è consentito solo per motivi specifici, come l’errata qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o vizi procedurali sanzionati con la nullità.
Quali sono state le conseguenze per il ricorrente dopo la dichiarazione di inammissibilità?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità del suo ricorso, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34103 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34103 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME TRANI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 01/04/2025 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di TRANI udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
OSSERVA
Ritenuto che il ricorso, riguardante la omessa applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen., è proposto per ragioni non consentite dall’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen., non versandosi in pena illegale;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26.09.2025