Ricorso Inammissibile: La Cassazione e il Divieto di Rivalutare i Fatti
Quando un procedimento giudiziario giunge al suo grado più alto, la Corte di Cassazione, le regole del gioco cambiano. Non si discute più di cosa sia successo, ma di come la legge è stata applicata. Un recente provvedimento della Suprema Corte ci offre un chiaro esempio di questo principio, dichiarando un ricorso inammissibile proprio perché tentava di forzare una nuova valutazione dei fatti. Analizziamo questa decisione per capire i confini invalicabili del giudizio di legittimità.
Il caso: l’istanza al giudice dell’esecuzione
La vicenda nasce da un’ordinanza del Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione. Un soggetto aveva presentato un’istanza ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, verosimilmente per ottenere il riconoscimento del cosiddetto ‘reato continuato’, ovvero l’unificazione di più condotte criminose sotto un unico disegno. Il giudice dell’esecuzione accoglieva la richiesta solo in parte.
Insoddisfatto della decisione, l’interessato proponeva ricorso per cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione da parte del giudice romano.
La decisione della Corte di Cassazione: il ricorso inammissibile
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della richiesta originaria, ma si ferma a un livello procedurale, stabilendo che il ricorso non aveva i requisiti per essere esaminato.
La conseguenza diretta per il ricorrente è stata duplice: la condanna al pagamento delle spese processuali e il versamento di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Si tratta di una misura prevista dall’art. 616 c.p.p. per i casi di inammissibilità, quando non vi sono elementi per escludere una colpa del ricorrente nel presentare un’impugnazione infondata.
Le motivazioni della decisione
Il cuore della pronuncia risiede nella motivazione con cui i giudici supremi hanno respinto l’appello. La Corte ha stabilito che il ricorso era stato proposto per ‘motivi non consentiti’. In sostanza, le critiche mosse all’ordinanza del Tribunale di Roma non riguardavano veri errori di diritto, ma miravano a ottenere una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto.
Il giudice dell’esecuzione, secondo la Cassazione, aveva già ‘compiutamente esaminato i profili dei fatti oggetto di giudizio’, concludendo che non vi fossero ‘concreti indicatori di ricorrenza della comune ideazione’ tra i vari reati. Il ricorrente, invece di contestare una violazione di legge, stava semplicemente chiedendo alla Cassazione di riesaminare gli stessi fatti e di giungere a una conclusione diversa. Questa operazione, nota come ‘rivalutazione in fatto’, è preclusa alla Corte di Cassazione, che opera in ‘sede di legittimità’. Il suo compito è assicurare l’uniforme interpretazione della legge, non agire come un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.
Le conclusioni: implicazioni pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: chi si rivolge alla Corte di Cassazione deve basare le proprie argomentazioni su questioni di diritto (es. una norma interpretata o applicata male), non su una diversa lettura dei fatti. Tentare di ottenere un nuovo giudizio sul merito della causa è una strada destinata a fallire, portando a una declaratoria di ricorso inammissibile.
Le implicazioni pratiche sono significative. Da un lato, si garantisce l’efficienza del sistema giudiziario, evitando che la Corte Suprema venga sommersa da appelli che esulano dalle sue competenze. Dall’altro, si pone un onere preciso sull’avvocato e sul suo assistito: formulare motivi di ricorso specifici e pertinenti al solo giudizio di legittimità. In caso contrario, il rischio non è solo quello di vedere respinta la propria istanza, ma anche di incorrere in sanzioni economiche rilevanti, come la condanna al pagamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, che funge da deterrente contro ricorsi manifestamente infondati o dilatori.
Per quale motivo principale il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché proposto per motivi non consentiti, in quanto la critica si risolveva in una richiesta di rivalutazione dei fatti, attività non permessa alla Corte di Cassazione in sede di legittimità.
Cosa aveva già valutato il giudice dell’esecuzione nella sua ordinanza?
Il giudice dell’esecuzione aveva già compiutamente esaminato i profili dei fatti oggetto di giudizio, non riscontrando concreti indicatori di una comune ideazione tra le diverse condotte.
Quali sono le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della dichiarazione di inammissibilità?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34869 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34869 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a BACOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/03/2024 del GIP TRIBUNALE di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
IN FATTO E IN DIRITTO
Con ordinanza emessa in data 8 marzo 2024 il Tribunale di Roma, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva solo in parte l’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. proposta da COGNOME NOME.
Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione – nelle form di legge – COGNOME NOME, deducendo erronea applicazione di legge e vizio di motivazione.
Il ricorso va dichiarato inammissibile perché proposto per motivi no consentiti.
Ed invero, il giudice della esecuzione ha compiutamente esaminato i profil dei fatti oggetto di giudizio, non ravvisando – nella parte reiettiva domanda- concreti indicatori di ricorrenza della comune ideazione tra diverse condotte e la critica si risolve in una richiesta di rivalutazione i non consentita in sede di legittimità.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue di diritto la condanna d ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elemen atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibil al versamento a favore della Cassa delle ammende di sanzione pecuniaria, che pare congruo determinare in euro tremila, ai sensi dell’art. 616 cod. p pen.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 20 giugno 2024
Il Consigliere estensore nte