Ricorso Inammissibile: Perché non si può Impugnare la Pena Concordata nel Patteggiamento
L’istituto del patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta delle parti, rappresenta uno strumento fondamentale nel nostro sistema processuale penale, volto a deflazionare il carico giudiziario. Tuttavia, la scelta di questo rito speciale comporta conseguenze precise, soprattutto in materia di impugnazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio consolidato: una volta che la pena è stata concordata, il ricorso inammissibile è l’esito quasi certo per chi tenta di contestarne la misura. Questo articolo analizza la decisione e le sue implicazioni pratiche.
Il Caso in Esame: Un Ricorso Contro il Patteggiamento
I fatti alla base della pronuncia sono semplici ma emblematici. Un imputato, a seguito di un accordo con la pubblica accusa, otteneva dal Giudice dell’Udienza Preliminare una sentenza di patteggiamento che applicava una pena di 2 anni e 3 mesi di reclusione e 3.600 euro di multa. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato decideva di presentare ricorso per cassazione, lamentando un vizio di motivazione relativo alla dosimetria della pena, ovvero alla sua quantificazione.
La Decisione della Corte: Il Ricorso è Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, chiamata a pronunciarsi, ha dichiarato il ricorso inammissibile senza neppure entrare nel merito della questione. La decisione non sorprende gli addetti ai lavori, in quanto si allinea a un orientamento giurisprudenziale ormai granitico. La Corte ha stabilito che l’imputato, avendo concordato la pena, non ha più un interesse giuridicamente rilevante a contestarla. Di conseguenza, il suo ricorso è stato respinto per una ragione puramente processuale: la carenza di interesse.
Le Motivazioni Giuridiche Dietro l’Inammissibilità del Ricorso
Il cuore della motivazione risiede nell’articolo 591, comma 1, lettera a) del codice di procedura penale, che prevede l’inammissibilità dell’impugnazione quando manca l’interesse ad agire. Nel contesto del patteggiamento, l’interesse a contestare la pena viene meno nel momento stesso in cui l’imputato e il pubblico ministero raggiungono un accordo. La sentenza di patteggiamento, infatti, non è il risultato di una valutazione autonoma del giudice, ma la ratifica di un accordo negoziale tra le parti.
La Cassazione, richiamando un suo precedente specifico (sentenza n. 48309 del 2012), ha sottolineato che dolersi della dosimetria della pena dopo averla concordata costituisce un controsenso logico e giuridico. L’imputato, accettando il patteggiamento, rinuncia implicitamente a contestare la congruità della sanzione pattuita. Ammettere un’impugnazione su questo punto significherebbe snaturare la logica stessa del rito, che si fonda proprio sulla definizione concordata della pena in cambio di benefici processuali.
Le Conclusioni: Conseguenze Pratiche e Monito per la Difesa
La declaratoria di inammissibilità non è priva di conseguenze. Ai sensi dell’articolo 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto un ricorso inammissibile è condannata non solo al pagamento delle spese del procedimento, ma anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende. Nel caso di specie, tale somma è stata equitativamente fissata in 3.000 euro.
Questa pronuncia serve da monito: la scelta di accedere al patteggiamento deve essere ponderata e consapevole. Una volta raggiunto l’accordo e ottenuta la sentenza, la strada per rimettere in discussione la misura della pena è preclusa. La difesa deve quindi valutare attentamente, prima di formalizzare la richiesta, la congruità della pena proposta, poiché quella scelta diventerà, salvo vizi eccezionali, definitiva e non più contestabile nel merito.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento contestando la misura della pena concordata?
No. Secondo l’ordinanza, il ricorso è inammissibile per carenza di interesse, poiché la pena è stata oggetto di accordo tra l’imputato e il pubblico ministero, e tale accordo preclude una successiva contestazione sulla sua congruità.
Quali sono le conseguenze se un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La parte che ha proposto il ricorso inammissibile viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000,00 euro.
Cosa si intende per ‘carenza di interesse’ come motivo di inammissibilità di un ricorso?
Si intende la mancanza di un vantaggio giuridico concreto e attuale che deriverebbe dall’accoglimento del ricorso. Nel caso del patteggiamento, avendo l’imputato già accettato la pena, non ha più un interesse giuridicamente tutelato a contestarne la misura.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12043 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12043 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato il 03/03/1987
avverso la sentenza del 02/07/2024 del GIUDICE COGNOME PRELIMINARE di LA SPEZIA
cilethetammiss-aile-merté;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che con sentenza resa in udienza il 2 luglio 2024 ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen. il Tribunale de la Spezia ha applicato nei confronti di NOME COGNOME in concorso con altri, la pena di anni 2 e mesi 3 di reclusione ed C 3.600 di multa avendolo ritenuto colpevole del reato ascritto;
che avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto articolando un unico motivo di impugnazione con cui eccepiva il vizio di motivazione con riferimento alla dosimetria della pena inflitta.
Considerato che il ricorso è inammissibile;
che secondo il costante orientamento di questa Corte è inammissibile per carenza di interesse, ai sensi dell’art. 591, comma primo, lett. a) cod. proc. pen., il ricorso per cassazione con cui il responsabile civile si dolga della dosimetria della pena inflitta all’imputato, nel giudizio definito ex art. 444 cod. proc. pen. (Corte di cassazione, Sez. 1 Pen. n. 48309 del 13 novembre 2012);
che il ricorso deve perciò essere dichiarato inammissibile e, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale nonché rilevato che nella fattispecie non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché della somma equitativamente fissata in C 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2024
GLYPH