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Ricorso inammissibile: no alla pena concordata

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato da un imputato condannato per riciclaggio. L’imputato aveva concordato la pena in appello (ex art. 599-bis c.p.p.) ma l’aveva poi impugnata ritenendola ‘illogica’. La Corte ha stabilito che la pena pattuita tra le parti non può essere oggetto di ricorso, confermando la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Pena Concordata in Appello non si Discute

Nel processo penale, gli accordi tra accusa e difesa rappresentano uno strumento fondamentale per la definizione accelerata dei procedimenti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cardine in materia: se le parti concordano la pena in appello, non è poi possibile impugnare tale accordo lamentandone l’illogicità. La decisione sottolinea la natura vincolante della pattuizione e le conseguenze di un ricorso inammissibile.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di riciclaggio emessa dal Tribunale di primo grado. In sede di appello, la difesa dell’imputato e la Procura Generale raggiungevano un accordo sulla rideterminazione della pena, secondo quanto previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale. La Corte d’appello, recependo l’accordo, riformava parzialmente la sentenza di primo grado, applicando la pena concordata.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando una violazione dell’art. 133 del codice penale. A suo dire, la Corte d’appello era pervenuta a una determinazione della pena “del tutto illogica”, sebbene tale pena fosse il frutto della pattuizione a cui egli stesso aveva aderito.

La Decisione della Corte di Cassazione e il Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, trattando il caso con la procedura semplificata “de plano”, prevista dall’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. Questa procedura si applica quando l’impugnazione è proposta per motivi non consentiti dalla legge, come nel caso di specie.

L’Accordo tra le Parti e i Limiti dell’Impugnazione

I giudici di legittimità hanno chiarito che le censure relative al trattamento sanzionatorio non possono essere considerate ammissibili quando la pena è stata oggetto di un accordo tra le parti. L’istituto del concordato in appello si fonda proprio sulla volontà delle parti di definire consensualmente la sanzione, rinunciando a ulteriori contestazioni sul punto. Ammettere un’impugnazione che metta in discussione il risultato di tale accordo ne snaturerebbe la funzione e la logica processuale.

Le Conseguenze dell’Inammissibilità

In conseguenza della declaratoria di inammissibilità, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Inoltre, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. e alla luce dei principi espressi dalla Corte Costituzionale (sent. n. 186/2000), ha disposto il versamento di una somma di tremila euro a favore della cassa delle ammende. Tale sanzione pecuniaria è giustificata dalla “colpa” del ricorrente nell’aver promosso un’impugnazione priva dei presupposti di legge, causando un inutile dispendio di risorse giudiziarie.

Le Motivazioni della Sentenza

La motivazione della Corte si fonda su un principio di coerenza e auto-responsabilità processuale. L’accordo previsto dall’art. 599-bis c.p.p. è un atto negoziale con cui le parti dispongono del contenuto della decisione in merito alla pena. Una volta che l’imputato, assistito dal suo difensore, accetta di pattuire una determinata sanzione in cambio di una sua riduzione e di una rapida definizione del processo d’appello, perde la facoltà di dolersene in un momento successivo. La critica alla logicità della pena diventa una contraddizione in termini, poiché la pena non è il risultato di una valutazione unilaterale del giudice, ma di una convergenza di volontà tra accusa e difesa, recepita dal giudice stesso. La Corte ha quindi ritenuto che il motivo di ricorso non fosse semplicemente infondato, ma “non consentito”, attivando di conseguenza la procedura accelerata “de plano” e le sanzioni previste per un uso improprio dello strumento impugnatorio.

Conclusioni

Questa ordinanza offre un importante monito per la prassi giudiziaria. La scelta di aderire a un concordato in appello è una decisione strategica che deve essere attentamente ponderata. L’imputato e il suo difensore devono essere consapevoli che tale accordo comporta una rinuncia implicita a contestare l’entità della pena concordata. La decisione della Cassazione rafforza la stabilità degli accordi processuali e sanziona i tentativi di rimettere in discussione pattuizioni già definite, garantendo così l’efficienza del sistema giudiziario e il principio di lealtà processuale.

È possibile impugnare in Cassazione una pena che è stata concordata tra le parti in appello?
No, la sentenza stabilisce che le censure relative al trattamento sanzionatorio non sono consentite quando la pena è stata oggetto di pattuizione tra le parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., in quanto l’accordo preclude successive contestazioni sulla logicità della sanzione.

Cosa significa che un ricorso è trattato “de plano”?
Significa che il ricorso viene deciso con una procedura semplificata, senza udienza pubblica, perché l’impugnazione è stata proposta per motivi non consentiti dalla legge, come nel caso di un ricorso contro una pena concordata.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, valutati i profili di colpa, al versamento di una somma di denaro a favore della cassa delle ammende come sanzione per aver avviato un’impugnazione senza fondamento legale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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