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Ricorso inammissibile: no a nuova valutazione fatti

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile, ribadendo di non poter riesaminare i fatti di una causa. Il caso riguardava l’identificazione di un imputato tramite un soprannome emerso dalle indagini. La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso generico e volto a ottenere una nuova valutazione delle prove, compito che spetta esclusivamente ai giudici di merito. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione non può riesaminare i fatti

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cardine del nostro sistema processuale: il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sui fatti. La vicenda analizzata offre uno spunto prezioso per comprendere i limiti del giudizio di legittimità e le conseguenze di un ricorso inammissibile. Il caso in esame vedeva un imputato ricorrere contro una sentenza della Corte d’Appello che ne confermava la responsabilità penale, contestando specificamente la logicità della sua identificazione.

Il Caso: l’Identificazione basata su un Soprannome

Il cuore della questione processuale risiedeva nell’identificazione dell’imputato. La Corte d’Appello aveva ritenuto provato che l’individuo coinvolto in una cessione di stupefacenti fosse proprio il ricorrente. Questa certezza si fondava su un elemento investigativo cruciale: nel corso delle indagini, erano emerse diverse conversazioni in cui un soggetto, identificato con il soprannome di “Ciccio”, interagiva con un altro co-indagato. Secondo i giudici di merito, quel soprannome era inequivocabilmente riconducibile all’imputato.

La Contestazione dell’Imputato

Attraverso il proprio difensore, l’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando una “manifesta illogicità” nella motivazione della sentenza d’appello proprio su questo punto. La difesa sosteneva che l’associazione tra il soprannome e la persona del proprio assistito non fosse supportata da prove sufficientemente solide, chiedendo di fatto un annullamento della condanna.

La Decisione della Cassazione: un Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. I giudici hanno sottolineato come i motivi presentati fossero del tutto generici, assertivi e, soprattutto, non consentiti in sede di legittimità. Il ricorso, infatti, non denunciava un vero vizio di legge o un’illogicità manifesta e decisiva della motivazione, ma si limitava a proporre una rilettura alternativa delle prove già esaminate dai giudici di merito.

I Limiti del Giudizio di Legittimità

La Corte ha ribadito che il suo compito non è quello di rivalutare le fonti probatorie, come le conversazioni emerse dalle indagini. Un simile modo di procedere trasformerebbe la Cassazione in un “ennesimo giudice del fatto”, snaturando la sua funzione di organo di controllo sulla corretta applicazione del diritto. Il sindacato di legittimità non può spingersi fino a sostituire la valutazione del giudice di merito con una propria, a meno che la motivazione di quest’ultimo non sia palesemente contraddittoria o basata su prove inesistenti.

Le motivazioni

Le motivazioni della declaratoria di inammissibilità sono chiare e nette. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato privo di “concreta specificità e pertinenza censoria”. In sostanza, la difesa si è limitata a riproporre le stesse argomentazioni già adeguatamente valutate e respinte dalla Corte d’Appello, senza confrontarsi in modo critico con le ragioni esposte nella sentenza impugnata. I giudici di secondo grado avevano spiegato in modo logico e coerente perché il soprannome “Ciccio” fosse riconducibile all’imputato, e il ricorso non ha saputo scalfire la tenuta logica di tale ragionamento. Chiedere una diversa interpretazione degli elementi di fatto costituisce un tentativo di ottenere un nuovo giudizio sul merito della vicenda, attività preclusa in sede di Cassazione.

Le conclusioni

Le implicazioni pratiche di questa ordinanza sono significative. Presentare un ricorso inammissibile non è privo di conseguenze. In base all’articolo 616 del codice di procedura penale, quando non si ravvisa un’assenza di colpa nel determinare la causa di inammissibilità, il ricorrente viene condannato non solo al pagamento delle spese del procedimento, ma anche di una sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro. La decisione rafforza il principio secondo cui l’accesso alla Corte di Cassazione deve essere riservato a censure che attengono a reali violazioni di legge o a vizi logici macroscopici della motivazione, e non può diventare uno strumento per tentare, per la terza volta, di far prevalere la propria ricostruzione dei fatti.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano manifestamente infondati, generici e riproponevano questioni di fatto già valutate dal giudice di merito, cercando di ottenere una nuova valutazione delle prove non consentita in sede di Cassazione.

Cosa significa che la Corte di Cassazione non è un “giudice del fatto”?
Significa che il suo ruolo è limitato a controllare la corretta applicazione delle norme di diritto e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata (giudizio di legittimità), senza poter riesaminare le prove e i fatti del caso come fanno i tribunali di primo e secondo grado (giudici di merito).

Quali sono le conseguenze per chi presenta un ricorso inammissibile?
La persona che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, tremila euro) in favore della cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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