Ricorso Inammissibile: Quando i Motivi Nuovi Portano alla Condanna
Nel complesso iter della giustizia penale, le regole procedurali non sono meri formalismi, ma garanzie fondamentali per il corretto svolgimento del processo. Un esempio lampante emerge da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che ha dichiarato un ricorso inammissibile perché basato su un motivo non precedentemente sollevato in appello. Questa decisione offre uno spunto essenziale sull’importanza di definire con precisione l’oggetto del contendere fin dai primi gradi di giudizio.
I Fatti del Caso: Un Appello Limitato
Un individuo, condannato nei primi due gradi di giudizio per il reato previsto dall’art. 336 del codice penale (violenza o minaccia a un pubblico ufficiale), decideva di presentare ricorso per Cassazione. Tuttavia, davanti alla Suprema Corte, la doglianza del ricorrente si concentrava esclusivamente sul trattamento sanzionatorio, ovvero sulla quantificazione della pena ricevuta.
Il problema, come evidenziato dalla Corte, risiedeva nel fatto che l’atto di appello originario non conteneva alcuna censura su questo punto. In sede di appello, la difesa si era limitata a contestare la mancata assoluzione, chiedendo un proscioglimento completo dall’accusa. Non era stata mossa alcuna critica specifica alla pena inflitta dal giudice di primo grado.
La Decisione della Corte e il Principio del Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Il principio di diritto applicato è consolidato e rigoroso: non è consentito introdurre per la prima volta in sede di legittimità motivi di ricorso che non siano già stati sottoposti al giudice dell’appello. Il giudizio di Cassazione è un giudizio di legittimità, volto a verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici di merito, e non una terza istanza in cui ampliare a piacimento il tema della controversia.
La Condanna alle Spese e alla Cassa delle Ammende
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa sanzione pecuniaria è prevista proprio per scoraggiare ricorsi palesemente infondati o, come in questo caso, proceduralmente errati, che congestionano inutilmente il lavoro della Suprema Corte.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su un pilastro del diritto processuale penale: il cosiddetto ‘effetto devolutivo’ dell’appello. Questo principio stabilisce che il giudice di secondo grado può esaminare solo i punti della sentenza di primo grado che sono stati specificamente contestati con i motivi di appello. Di conseguenza, i punti non contestati si ‘cristallizzano’ e non possono essere rimessi in discussione successivamente.
Nel caso di specie, non avendo l’imputato contestato il trattamento sanzionatorio in appello, tale questione era divenuta definitiva e preclusa a un riesame in Cassazione. Introdurre questo motivo solo in sede di legittimità costituisce un’elusione delle regole procedurali, rendendo il ricorso, per quella parte, irricevibile. La Corte ha quindi agito in stretta aderenza alla legge, che non consente di dedurre motivi nuovi nel giudizio di Cassazione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce una lezione fondamentale per chiunque affronti un processo penale: la strategia difensiva deve essere completa e lungimirante fin dal primo atto di impugnazione. È essenziale che l’atto di appello contenga tutti i motivi di doglianza, sia quelli relativi alla responsabilità penale (la richiesta di assoluzione) sia quelli subordinati, come la contestazione sulla quantificazione della pena.
Omettere una censura in appello significa rinunciarvi definitivamente. La conseguenza non è solo la perdita della possibilità di ottenere una riforma della sentenza su quel punto, ma anche il rischio concreto di vedersi dichiarare il ricorso inammissibile in Cassazione, con l’ulteriore aggravio di una condanna economica. Pertanto, un’attenta e meticolosa redazione degli atti di impugnazione si rivela cruciale per la tutela effettiva dei diritti dell’imputato.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il motivo sollevato, relativo al trattamento sanzionatorio, non era stato presentato nel precedente atto di appello, ma introdotto per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione.
Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Cosa aveva contestato il ricorrente nel suo appello originario?
Nell’atto di appello alla corte territoriale, il ricorrente aveva contestato unicamente la mancata assoluzione per il delitto di cui all’art. 336 del codice penale, senza muovere alcuna critica riguardo alla pena inflitta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 46443 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 46443 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MODENA il 29/05/1984
avverso la sentenza del 28/03/2024 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
n. 26/ RG 22210/24
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME
Ritenuto che il motivo, avente ad oggetto il trattamento sanzionatorio, non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché non è stato dedotto con l’atto di appello che aveva censurato soltanto la mancata assoluzione per il delitto di cui all’art. 336 cod. pen. con riferimento a due persone offese.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 15 novembre 2024
La Consigliera e
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La Presidente