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Ricorso inammissibile: motivi nuovi in Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato da un imputato. La decisione si fonda su due ragioni principali: un motivo di ricorso è stato ritenuto infondato poiché la decisione impugnata era sufficientemente motivata, mentre un secondo motivo è stato giudicato inammissibile in quanto sollevato per la prima volta in Cassazione, in violazione del principio della “catena devolutiva”. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma a favore della Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: L’Importanza della Catena Devolutiva in Cassazione

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale del nostro sistema processuale penale: il divieto di presentare motivi di ricorso nuovi davanti alla Suprema Corte. Questa decisione sottolinea come un ricorso inammissibile possa derivare non solo da vizi di merito, ma anche da errori procedurali, come la violazione della cosiddetta “catena devolutiva”. Analizziamo il caso per comprendere le implicazioni pratiche di questa regola.

Il Caso in Esame: Un Appello Respinto

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Napoli. Il ricorrente aveva sollevato diverse censure contro la decisione di secondo grado, sperando di ottenere un annullamento della condanna. Tuttavia, l’esito del giudizio di legittimità è stato netto: il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

L’imputato aveva basato il suo ricorso su due argomentazioni principali. La prima contestava la valutazione della sua capacità a delinquere, ritenendo ingiusta la decisione dei giudici di merito che, sulla base dei precedenti specifici e della persistenza nel commettere reati, avevano negato la sospensione della pena. Su questo punto, la Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, poiché la decisione della Corte d’Appello era sorretta da una motivazione sufficiente, logica e non arbitraria.

Il secondo motivo, invece, riguardava presunti vizi di motivazione relativi all’applicazione degli articoli 81 (reato continuato) e 133 (gravità del reato e capacità a delinquere del colpevole) del codice penale. Ed è qui che emerge l’aspetto proceduralmente più rilevante.

Analisi del Ricorso Inammissibile e la Catena Devolutiva

La Corte Suprema ha dichiarato questo secondo motivo del ricorso inammissibile per una ragione puramente procedurale. La censura non era mai stata sollevata nel precedente grado di giudizio, ovvero nell’atto di appello. Secondo l’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale, non è possibile dedurre in Cassazione motivi diversi da quelli enunciati nei motivi di appello. Questo principio, noto come “catena devolutiva”, impone che le questioni giuridiche e fattuali siano discusse progressivamente nei vari gradi di giudizio. Introdurre un argomento completamente nuovo davanti alla Cassazione costituisce una violazione di questa regola, che porta inevitabilmente all’inammissibilità del motivo stesso.

le motivazioni

La motivazione della Suprema Corte è chiara e si fonda su un duplice binario. Da un lato, riafferma che il giudizio di legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di merito. Le valutazioni sulla capacità a delinquere, se supportate da un ragionamento logico e coerente come nel caso di specie, non sono sindacabili in Cassazione. La Corte d’Appello aveva correttamente evidenziato come l’imputato, nonostante avesse già beneficiato in passato della sospensione della pena, avesse continuato a delinquere, dimostrando una spiccata tendenza al crimine.

Dall’altro lato, la Corte applica con rigore il principio procedurale della catena devolutiva. Consentire di introdurre motivi nuovi in Cassazione significherebbe alterare la natura stessa del giudizio di legittimità, trasformandolo in una sede dove riesaminare questioni che avrebbero dovuto essere discusse davanti al giudice d’appello. La dichiarazione di inammissibilità del secondo motivo è, quindi, una diretta conseguenza del mancato rispetto di questa fondamentale regola processuale.

le conclusioni

La decisione in commento offre una lezione importante: la strategia difensiva deve essere costruita in modo completo e organico sin dai primi gradi di giudizio. Tralasciare un motivo di impugnazione in appello preclude la possibilità di sollevarlo successivamente in Cassazione. La dichiarazione di ricorso inammissibile non è solo una sconfitta processuale, ma comporta anche conseguenze economiche per il ricorrente, tenuto al pagamento delle spese e di una sanzione a favore della Cassa delle ammende. Questo caso conferma, ancora una volta, che nel processo penale la forma è sostanza e il rispetto delle regole procedurali è cruciale per la tutela dei propri diritti.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile principalmente perché uno dei motivi sollevati non era stato precedentemente presentato nell’atto di appello, violando così il principio della “catena devolutiva” stabilito dall’art. 606, comma 3, c.p.p. Un altro motivo è stato ritenuto infondato in quanto la decisione impugnata era adeguatamente motivata.

Cosa significa “violazione della catena devolutiva”?
Significa introdurre per la prima volta in Cassazione un motivo di ricorso che non era stato discusso nel precedente grado di giudizio (l’appello). Il sistema processuale prevede che le questioni siano affrontate in modo progressivo, e la Corte di Cassazione può giudicare solo sulle questioni già devolute al giudice d’appello.

Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un ricorso è dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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