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Ricorso inammissibile: limiti del patteggiamento

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile presentato contro una sentenza di patteggiamento in appello. L’impugnazione, basata sulla mancata disapplicazione della recidiva, è stata respinta perché i motivi di ricorso contro tale accordo sono limitati a vizi nella formazione della volontà, nel consenso del PM o a una pronuncia difforme dall’accordo, escludendo questioni di merito come la recidiva.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione fissa i paletti per l’impugnazione del patteggiamento in appello

Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui limiti dell’impugnazione delle sentenze emesse a seguito di ‘patteggiamento in appello’, previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale. La decisione sottolinea come un ricorso inammissibile sia l’esito inevitabile quando i motivi proposti non rientrano nel perimetro, molto ristretto, tracciato dalla legge e dalla giurisprudenza. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere la natura dell’accordo in appello e le sue conseguenze sulla possibilità di un ulteriore controllo di legittimità.

I Fatti del Caso

Un imputato, dopo aver concordato la pena in secondo grado con la Procura Generale presso la Corte d’Appello, decideva di presentare ricorso per cassazione. Attraverso il suo difensore, lamentava la mancata disapplicazione della recidiva, un’aggravante legata alla commissione di nuovi reati dopo una condanna definitiva. Secondo la difesa, tale errore costituiva una violazione di legge, censurabile ai sensi dell’art. 606 del codice di procedura penale.

La questione, quindi, non riguardava il modo in cui si era giunti all’accordo, ma un aspetto sostanziale del calcolo della pena oggetto dello stesso accordo.

Il Patteggiamento in Appello e il Ricorso Inammissibile

L’istituto del concordato o patteggiamento in appello, reintrodotto con la legge n. 103 del 2017, consente alle parti di accordarsi sulla pena da applicare, chiudendo il processo in modo più rapido. Tuttavia, la natura stessa di ‘accordo’ processuale limita fortemente le successive possibilità di impugnazione. La giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito un principio fondamentale: una volta che le parti hanno liberamente pattuito una certa pena, non possono in seguito contestarne il merito. Il ricorso in Cassazione è ammesso solo per motivi eccezionali, che non toccano il contenuto dell’accordo, ma il processo con cui esso si è formato. Di conseguenza, un ricorso inammissibile è la sanzione processuale per chi tenta di rimettere in discussione il patto raggiunto.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con la sua ordinanza, ha dichiarato il ricorso inammissibile de plano, ovvero senza nemmeno la necessità di un’udienza di discussione. I giudici hanno ribadito che, in tema di patteggiamento in appello, il ricorso è consentito esclusivamente per tre ordini di motivi:

1. Vizi legati alla formazione della volontà dell’imputato di accedere all’accordo (es. errore, violenza o dolo).
2. Problemi inerenti al consenso prestato dal pubblico ministero.
3. Un contenuto della sentenza del giudice difforme rispetto a quanto concordato tra le parti.

Il motivo sollevato dal ricorrente, relativo alla gestione della recidiva, non rientrava in nessuna di queste categorie. Si trattava, infatti, di una censura sul merito della pena concordata, che l’accordo processuale preclude.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla logica stessa dell’istituto. L’accordo sulla pena rappresenta una rinuncia volontaria delle parti a un pieno accertamento giudiziale in appello, in cambio di una definizione più celere e, spesso, di una pena più mite. Consentire un’impugnazione per motivi di merito svuoterebbe di significato l’accordo stesso. La scelta di ‘patteggiare’ implica l’accettazione della pena finale, con tutti i suoi elementi, inclusa l’applicazione o meno di circostanze come la recidiva. Contestare a posteriori uno di questi elementi equivale a rinnegare il patto sottoscritto. La Corte, pertanto, applicando l’art. 610, comma 5-bis, c.p.p. (introdotto dalla stessa legge che ha reintrodotto il patteggiamento in appello), ha dichiarato l’inammissibilità, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria di tremila euro.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato e serve da monito per la difesa. La scelta di accedere al patteggiamento in appello deve essere ponderata attentamente, poiché preclude quasi ogni possibilità di un successivo ricorso in Cassazione. Le uniche vie d’uscita sono legate a vizi procedurali gravi che inficiano la genuinità del consenso. Qualsiasi critica relativa al calcolo della pena o alla valutazione delle circostanze è destinata a sfociare in una declaratoria di ricorso inammissibile, con conseguente condanna alle spese e a una sanzione economica. La stabilità degli accordi processuali è un valore che il sistema intende tutelare, anche a costo di limitare i gradi di giudizio.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento in appello per motivi legati alla pena, come la recidiva?
No. Secondo l’ordinanza, il ricorso è inammissibile se riguarda il merito della pena concordata, come l’applicazione della recidiva, poiché tali aspetti sono coperti dall’accordo stesso.

Quali sono i motivi validi per ricorrere in Cassazione contro una sentenza emessa a seguito di patteggiamento in appello?
Il ricorso è ammissibile solo per motivi che riguardano la formazione della volontà della parte di accedere all’accordo, il consenso del pubblico ministero, o un contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto a quanto pattuito.

Cosa comporta la dichiarazione di un ricorso inammissibile in questo contesto?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, che nel caso specifico è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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