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Ricorso inammissibile: limiti del concordato in appello

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una sentenza emessa a seguito di un ‘concordato in appello’. La Corte ha chiarito che, una volta raggiunto l’accordo, l’imputato rinuncia a contestare il merito della decisione, inclusa la valutazione delle circostanze attenuanti. L’impugnazione è consentita solo per vizi relativi alla formazione dell’accordo stesso e non per riesaminare questioni di fatto o di diritto già coperte dalla rinuncia. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 24 dicembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile: la Cassazione chiarisce i limiti del concordato in appello

Quando un imputato decide di accordarsi con la pubblica accusa in appello, quali sono i confini per un successivo ricorso in Cassazione? La recente ordinanza della Suprema Corte fa luce su questo punto cruciale, dichiarando un ricorso inammissibile e ribadendo la natura specifica del cosiddetto ‘concordato in appello’ previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale. Questa decisione offre spunti fondamentali per comprendere la strategia processuale e le sue conseguenze.

Il caso in esame: dal concordato alla Cassazione

La vicenda trae origine da una sentenza della Corte di Appello di Catania che, in parziale riforma di una precedente pronuncia, aveva rideterminato la pena per un imputato sulla base di un accordo tra le parti. La pena era stata fissata in quattro anni e sei mesi di reclusione, oltre a una multa di 20.000,00 euro.

Nonostante l’accordo, la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, sollevando due questioni principali:
1. La violazione di legge e il vizio di motivazione per la mancata concessione di una circostanza attenuante.
2. La violazione di legge e la carenza di motivazione riguardo alla valutazione di una possibile causa di non punibilità.

I motivi del ricorso ritenuti inammissibili

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile perché basato su motivi non consentiti dalla legge per questo specifico tipo di procedimento. La Corte ha sottolineato una distinzione fondamentale tra il ‘concordato in appello’ (art. 599-bis c.p.p.) e l’applicazione della pena su richiesta delle parti, o ‘patteggiamento’ (art. 444 c.p.p.).

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella natura stessa del concordato in appello. Secondo la giurisprudenza consolidata, questo istituto si fonda sulla rinuncia dell’imputato a determinati motivi di impugnazione. Di conseguenza, l’accordo preclude la possibilità di contestare successivamente la responsabilità penale e la qualificazione giuridica del fatto. Il ricorso in Cassazione avverso una sentenza di questo tipo è eccezionalmente ammesso solo per questioni che minano le fondamenta dell’accordo stesso, quali:

* Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
* Problemi relativi al consenso del pubblico ministero.
* Una pronuncia del giudice difforme rispetto a quanto concordato.

Sono invece inammissibili tutte le doglianze relative ai motivi rinunciati (come la mancata concessione di attenuanti), alla mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento secondo l’art. 129 c.p.p., o a presunti errori nella determinazione della pena, a meno che questa non sia palesemente illegale.

La Corte ha specificato che il concordato in appello ha una ‘fisionomia diversa’ dal patteggiamento tradizionale. Mentre nel patteggiamento l’accordo abbraccia anche i termini dell’accusa, consentendo un ricorso per cassazione sulla qualificazione giuridica, nel concordato in appello l’accordo si innesta sulla rinuncia ai motivi di impugnazione, cristallizzando di fatto la responsabilità e la qualificazione del reato.

Le conclusioni

L’ordinanza conferma un principio fondamentale: la scelta di un concordato in appello è una decisione strategica con conseguenze definitive. Chi vi accede, baratta la possibilità di contestare nel merito la sentenza di primo grado con una pena più mite, ma al contempo si preclude quasi ogni via per un successivo ricorso in Cassazione. La decisione della Suprema Corte serve da monito: le parti devono valutare con estrema attenzione i termini dell’accordo, poiché le porte per un riesame si chiudono quasi ermeticamente. L’inammissibilità del ricorso ha comportato, come previsto dalla legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 4.000,00 euro alla Cassa delle ammende, a causa della manifesta infondatezza dell’impugnazione.

È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di ‘concordato in appello’ lamentando la mancata concessione di una circostanza attenuante?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che tali doglianze sono inammissibili. L’accordo in appello si basa sulla rinuncia ai motivi di impugnazione, quindi non è possibile contestare successivamente aspetti come le attenuanti, che rientrano nei motivi a cui si è rinunciato.

Quali sono i soli motivi per cui si può fare ricorso contro una sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen.?
Il ricorso è ammissibile solo per motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere all’accordo, al consenso del pubblico ministero, o nel caso in cui la pronuncia del giudice sia difforme rispetto all’accordo pattuito.

Perché la Corte condanna il ricorrente al pagamento di una somma alla Cassa delle ammende in caso di ricorso inammissibile?
La condanna al pagamento di una somma in favore della Cassa delle ammende è una conseguenza prevista dalla legge per l’inammissibilità del ricorso. L’importo, in questo caso 4.000,00 euro, viene stabilito tenendo conto dell’elevato ‘coefficiente di colpa’ nel proporre un’impugnazione con motivi non consentiti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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