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Ricorso inammissibile: limiti appello in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato contro una sentenza emessa da un GIP. Il ricorrente lamentava un vizio di motivazione e la mancata applicazione delle cause di proscioglimento. La Corte ha ribadito che, dopo un patteggiamento, l’appello è limitato a specifici motivi, tra cui non rientra il generico vizio di motivazione. Di conseguenza, il ricorso è stato respinto con condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 27 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: i Limiti Imposti dalla Legge all’Appello in Cassazione

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione offre un importante chiarimento sui confini del giudizio di legittimità, in particolare quando si tratta di un ricorso inammissibile a seguito di una sentenza emessa con rito alternativo. Questo caso specifico ci permette di analizzare perché non tutti i motivi di doglianza possono trovare accoglimento presso la Suprema Corte, delineando un perimetro rigoroso per l’accesso al terzo grado di giudizio.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato in primo grado dal Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) del Tribunale di Foggia decideva di presentare ricorso per cassazione. La difesa lamentava essenzialmente due aspetti: un vizio di motivazione nella sentenza impugnata e il mancato rilievo da parte del giudice di primo grado di eventuali cause di proscioglimento previste dall’articolo 129 del codice di procedura penale.

I motivi del ricorso e il vizio di motivazione

Il ricorrente basava la propria impugnazione sulla presunta carenza argomentativa della sentenza del GIP. Secondo la difesa, il giudice non avrebbe adeguatamente spiegato le ragioni della sua decisione, incorrendo in un classico “vizio di motivazione”. Inoltre, si contestava il fatto che non fosse stata operata una verifica approfondita sulla possibile esistenza di cause che avrebbero potuto portare a un proscioglimento immediato, come previsto dalla legge.

La Decisione della Corte sul ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29074 del 2025, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Gli Ermellini hanno stabilito che i motivi presentati dal ricorrente non rientravano tra quelli consentiti dalla legge per impugnare una sentenza di questo tipo. La conseguenza diretta di tale decisione è stata la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un’analisi precisa delle norme procedurali. In primo luogo, viene richiamato l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che, in caso di sentenza emessa a seguito di patteggiamento, il ricorso in cassazione può essere proposto solo per motivi molto specifici, quali errori nella qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o di una misura di sicurezza.

La Corte ha evidenziato che il “vizio di motivazione” lamentato dal ricorrente non rientra in questo elenco tassativo. È un vizio che attiene al merito della valutazione del giudice, non a un errore di diritto tra quelli specificamente previsti. Inoltre, la Corte ha sottolineato che non era stata denunciata alcuna effettiva illegalità della pena.

Per quanto riguarda la mancata applicazione delle cause di proscioglimento (art. 129 c.p.p.), la Suprema Corte ha ribadito un principio consolidato: un giudice è tenuto a fornire una motivazione specifica sulla loro assenza solo quando dagli atti o dalle argomentazioni delle parti emergano elementi concreti che ne suggeriscano l’esistenza. In caso contrario, è sufficiente una motivazione implicita, che si presume compiuta con la pronuncia della sentenza di condanna. Il giudice non è tenuto a redigere una motivazione “negativa” per escludere ogni possibile causa di non punibilità in assenza di specifici indizi.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma con forza il principio della tassatività dei motivi di ricorso in Cassazione, specialmente nei casi derivanti da riti alternativi come il patteggiamento. La decisione serve da monito: non è possibile utilizzare l’appello in Cassazione come un terzo grado di giudizio sul merito, cercando di rimettere in discussione l’intera valutazione del giudice di primo grado attraverso la contestazione generica di un vizio di motivazione. Per la difesa, ciò implica la necessità di concentrare l’eventuale impugnazione esclusivamente sui profili di pura legittimità consentiti dalla legge, evitando di incorrere in una pronuncia di ricorso inammissibile con le relative conseguenze economiche.

Quali sono i motivi per cui si può ricorrere in Cassazione dopo una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis, c.p.p., il ricorso è consentito solo per contestare la qualificazione giuridica del fatto, l’illegalità della pena o l’illegalità di una misura di sicurezza applicata.

Un vizio di motivazione è un motivo valido per ricorrere in Cassazione in questi casi?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che il generico vizio di motivazione non rientra tra i motivi tassativamente previsti dalla legge per impugnare una sentenza emessa a seguito di rito alternativo.

Il giudice deve sempre motivare esplicitamente perché non applica una causa di proscioglimento?
No. Una motivazione specifica è richiesta solo se dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergono elementi concreti che indichino la possibile applicazione di una causa di non punibilità. In assenza di tali elementi, si ritiene sufficiente una motivazione implicita.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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