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Ricorso inammissibile: limiti appello concordato

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile contro una sentenza della Corte d’Appello emessa a seguito di un patteggiamento in appello (art. 599-bis c.p.p.). Il ricorrente aveva contestato la sua colpevolezza, un motivo che si considera rinunciato con l’accordo. La Corte ha ribadito che l’impugnazione in questi casi è permessa solo per vizi specifici legati alla formazione dell’accordo, non per contestare il merito della condanna. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: I Limiti dell’Impugnazione Dopo un Concordato in Appello

L’ordinanza in esame della Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di un concordato in appello, noto anche come patteggiamento in appello. La decisione sottolinea come l’adesione a tale accordo comporti una rinuncia quasi totale a contestare la sentenza, rendendo il successivo ricorso inammissibile se non fondato su vizi specifici. Questo caso offre uno spunto fondamentale per comprendere le conseguenze strategiche di una scelta processuale così rilevante.

I Fatti del Caso: Dal Tribunale alla Cassazione

La vicenda processuale ha origine da una condanna emessa dal Tribunale di Velletri, che aveva inflitto a un imputato una pena di 4 anni e 10 mesi di reclusione e 20.000 euro di multa. In sede di appello, l’imputato e la procura generale hanno raggiunto un accordo ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale. La Corte d’Appello di Roma ha quindi parzialmente riformato la sentenza, rideterminando la pena in 4 anni di reclusione e 18.000 euro di multa, confermando nel resto la decisione di primo grado.

Nonostante l’accordo, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per cassazione, sollevando un unico motivo: un presunto vizio di motivazione riguardante l’affermazione della sua colpevolezza (la cosiddetta statuizione di reità).

La Decisione della Corte: La Dichiarazione di Inammissibilità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si basa su un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: l’accordo sulla pena in appello limita drasticamente i motivi per cui è possibile presentare un ulteriore ricorso. L’impugnazione proposta dall’imputato non rientrava tra le poche eccezioni consentite dalla legge e dalla giurisprudenza.

Di conseguenza, oltre a rigettare il ricorso, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.

Le Motivazioni dietro il Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha spiegato in modo chiaro le ragioni giuridiche alla base della sua decisione. Il concordato in appello, previsto dall’art. 599-bis c.p.p., è un istituto che presuppone la rinuncia dell’imputato alla maggior parte dei motivi di appello in cambio di una riduzione della pena. La volontà di accedere a questo rito speciale implica l’accettazione della statuizione di reità.

La giurisprudenza costante (richiamata nel provvedimento con riferimento alla sentenza n. 944 del 2019) ammette il ricorso in cassazione avverso una sentenza di questo tipo solo per motivi molto specifici, quali:

1. Vizi nella formazione della volontà di accedere al concordato.
2. Mancanza del consenso del pubblico ministero.
3. Contenuto difforme della pronuncia del giudice rispetto all’accordo raggiunto tra le parti.

Non sono invece ammesse doglianze relative a motivi a cui si è rinunciato (come la contestazione della colpevolezza), alla mancata valutazione di cause di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.) o a vizi nella determinazione della pena, a meno che questa non sia illegale. Poiché il ricorrente ha contestato proprio la motivazione sulla sua colpevolezza, il suo ricorso inammissibile era una conseguenza inevitabile, in quanto tale motivo si considera implicitamente rinunciato con l’accordo.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza ribadisce un concetto cruciale per la difesa tecnica: la scelta di un concordato in appello è una decisione strategica che chiude quasi definitivamente la possibilità di contestare una condanna. L’imputato che accetta questo percorso baratta la certezza di una pena ridotta con la rinuncia a far valere eventuali vizi della sentenza di primo grado. È fondamentale che questa scelta sia pienamente consapevole. La pronuncia rafforza la natura ‘tombale’ dell’accordo, volto a deflazionare il carico giudiziario e a definire rapidamente il processo. Per gli operatori del diritto, ciò significa dover illustrare con estrema chiarezza al proprio assistito i benefici e, soprattutto, le preclusioni derivanti da un patteggiamento in appello.

È possibile impugnare una sentenza emessa dopo un ‘concordato in appello’ (art. 599-bis c.p.p.)?
Sì, ma solo per ragioni molto specifiche. Il ricorso è ammissibile unicamente se contesta vizi nella formazione della volontà di aderire all’accordo, la mancanza del consenso del pubblico ministero, o se la decisione del giudice è difforme dall’accordo pattuito.

Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile?
Perché l’imputato ha contestato la sua colpevolezza attraverso un presunto vizio di motivazione. Questo è un motivo a cui si considera di aver rinunciato nel momento in cui si accetta il concordato in appello e, pertanto, non rientra tra le eccezioni consentite per l’impugnazione.

Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
Oltre al rigetto del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, la Corte dispone il versamento di una somma di denaro (€ 3.000 in questo caso) alla Cassa delle ammende, a meno che non si dimostri di aver proposto l’impugnazione senza colpa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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