Ricorso Inammissibile: Analisi di un’Ordinanza della Cassazione
Quando un procedimento legale arriva fino all’ultimo grado di giudizio, la Corte di Cassazione, le aspettative sono alte. Tuttavia, non tutti gli appelli vengono esaminati nel merito. Un’ordinanza recente ci offre lo spunto per analizzare il concetto di ricorso inammissibile e, soprattutto, le sue significative conseguenze economiche per chi lo propone. Comprendere questo meccanismo è fondamentale per chiunque affronti un percorso giudiziario.
I Fatti Processuali alla Base della Decisione
Il caso in esame trae origine da un ricorso presentato alla Suprema Corte di Cassazione contro una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Salerno. La ricorrente, attraverso i suoi legali, ha cercato di ottenere la riforma della decisione di secondo grado. L’ordinanza, tuttavia, non entra nel dettaglio delle vicende che hanno portato alla condanna, concentrandosi esclusivamente sugli aspetti procedurali dell’impugnazione presentata.
La Decisione della Corte: la Declaratoria di Ricorso Inammissibile
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, dopo aver esaminato gli atti, ha emesso un’ordinanza perentoria: il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Questa decisione non significa che i giudici abbiano dato torto o ragione alla ricorrente nel merito della questione; significa, piuttosto, che il ricorso non possedeva i requisiti minimi richiesti dalla legge per poter essere esaminato.
Le cause di inammissibilità possono essere molteplici: la presentazione fuori dai termini previsti, la mancanza di motivi specifici e pertinenti, la proposizione di questioni già decise o che implicano una nuova valutazione dei fatti (non consentita in Cassazione). In sostanza, la Corte ha ritenuto che l’appello non superasse il primo vaglio di ammissibilità, arrestando così il suo percorso.
Le Motivazioni: Le Pesanti Conseguenze Economiche
La parte più rilevante dell’ordinanza, dal punto di vista pratico, risiede nelle conseguenze che derivano dalla dichiarazione di inammissibilità. La Corte non si è limitata a respingere il ricorso, ma ha applicato due sanzioni economiche precise a carico della ricorrente:
1. Condanna al pagamento delle spese processuali: Si tratta dei costi sostenuti dallo Stato per la gestione del procedimento in Cassazione. È una conseguenza standard per la parte che soccombe nel giudizio.
2. Condanna al versamento di una somma alla Cassa delle ammende: Questa è la sanzione più afflittiva. La Corte ha condannato la ricorrente al pagamento di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questo importo non è un risarcimento, ma una vera e propria sanzione pecuniaria prevista dal codice di procedura per scoraggiare la presentazione di ricorsi temerari o palesemente infondati, che impegnano inutilmente le risorse della giustizia.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza è un chiaro monito sull’importanza di valutare attentamente l’opportunità di presentare un ricorso in Cassazione. Proporre un ricorso inammissibile non solo non porta ad alcun risultato utile, ma espone il ricorrente a conseguenze economiche considerevoli. La decisione sottolinea il ruolo cruciale dell’avvocato, che ha il dovere di consigliare il proprio assistito sulla reale fondatezza dei motivi di ricorso, evitando impugnazioni che non hanno possibilità di superare il vaglio di ammissibilità e che possono trasformarsi in un ulteriore aggravio di spese.
Cosa significa quando la Corte di Cassazione dichiara un ricorso ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non viene esaminato nel merito perché manca dei requisiti formali o sostanziali previsti dalla legge, bloccando di fatto l’analisi delle ragioni dell’appellante.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile in Cassazione?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma di denaro, a titolo di sanzione, in favore della Cassa delle ammende.
A quanto ammonta la sanzione pecuniaria in questo caso specifico?
Nel caso esaminato, la ricorrente è stata condannata a versare la somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, oltre al pagamento delle spese processuali.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22227 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22227 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a SALERNO il 22/01/1992
avverso la sentenza del 15/10/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata visto il ricorso di RAGIONE_SOCIALE;
OSSERVA
Ritenuto che i due motivi di ricorso con cui si deduce l’inutilizzabilità delle dichiara
dell’imputata all’atto dell’esecuzione della confisca e la mancata applicazione della causa di no punibilità
ex art. 131-bis cod. pen. sono generici e riproduttivi di censure adeguatamente
confutate dalla Corte di appello là dove la sentenza precisa che non vi è stata alcuna utilizzazio delle dichiarazioni della ricorrente (il militare ha espressamente riferito in udienza di non pot
dare atto) e che i fatti, anche per l’entità del bene oggetto di sottrazione, non possa ritener scarsa offensività;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della
Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 26/05/2025.