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Ricorso inammissibile: la diffida non si impugna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto in affidamento in prova contro un decreto di diffida del Magistrato di Sorveglianza. La Corte ha stabilito che la diffida, essendo un mero avvertimento a rispettare le prescrizioni già imposte, non incide sui diritti del ricorrente e non è quindi un provvedimento impugnabile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma a titolo di ammenda, configurando un caso di ricorso inammissibile.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Diffida del Giudice Non È Impugnabile

L’ordinanza in esame offre un chiarimento fondamentale sui limiti dell’impugnazione in sede di legittimità, delineando un caso di ricorso inammissibile avverso un provvedimento del Magistrato di Sorveglianza. La Corte di Cassazione ha ribadito un principio cruciale: non tutti gli atti emessi da un’autorità giudiziaria sono soggetti a ricorso, specialmente quando non hanno un impatto diretto e autonomo sui diritti del destinatario. Analizziamo questa decisione per comprendere meglio le sue implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso

Un soggetto, ammesso alla misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, riceveva un decreto dal Magistrato di Sorveglianza di Bari. Con tale atto, datato 24 luglio 2024, il magistrato lo diffidava formalmente al rispetto delle prescrizioni connesse alla misura, in particolare il divieto di allontanarsi dal proprio domicilio dopo le ore 21:00 senza autorizzazione.

Ritenendo lesi i propri diritti, il soggetto decideva di presentare ricorso per cassazione contro questo decreto di diffida.

La Decisione della Corte: un Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4630 del 2025, ha tagliato corto, dichiarando il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su una valutazione netta della natura del provvedimento impugnato. Secondo gli Ermellini, il decreto di diffida non costituisce un atto che incide autonomamente sui diritti soggettivi del ricorrente.

Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come previsto per i casi di inammissibilità del ricorso quando non vi sono elementi per escludere la colpa del proponente.

Le Motivazioni della Decisione

La chiave di volta della pronuncia risiede nella natura del provvedimento impugnato. La Corte ha spiegato che la diffida emessa dal Magistrato di Sorveglianza era un semplice avvertimento, un richiamo a rispettare delle regole che erano già state stabilite nel provvedimento originario con cui era stato concesso l’affidamento in prova.

In altre parole, la diffida non introduceva nuove restrizioni né modificava la posizione giuridica del soggetto. Era un atto meramente monitorio, privo di carattere decisorio e, pertanto, non idoneo a ledere diritti. La giurisprudenza è costante nel ritenere che, per poter essere impugnato in Cassazione, un provvedimento debba avere un contenuto decisorio e un’incidenza diretta sui diritti della persona. Mancando questi presupposti, il ricorso non può superare il vaglio di ammissibilità.

La Corte ha applicato l’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, che prevede proprio la condanna al pagamento di una sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità, qualora non si ravvisi l’assenza di colpa nel ricorrente.

Le Conclusioni

Questa ordinanza consolida un principio fondamentale del diritto processuale penale: non ogni atto del giudice è appellabile. Per evitare un ricorso inammissibile, è essenziale che il provvedimento impugnato abbia un reale e autonomo contenuto lesivo. Un semplice monito, come la diffida in questo caso, non rientra in tale categoria. La decisione serve da monito per i praticanti del diritto: proporre un ricorso contro un atto non impugnabile non solo è inutile, ma comporta anche conseguenze economiche negative per l’assistito, con la condanna al pagamento delle spese e di un’ammenda, sottolineando la necessità di una valutazione attenta e ponderata prima di adire la Suprema Corte.

È possibile impugnare in Cassazione una semplice diffida del Magistrato di Sorveglianza?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che un decreto di diffida che si limita a richiamare il rispetto di prescrizioni già in vigore non è un provvedimento impugnabile, in quanto privo di incidenza autonoma sui diritti soggettivi del destinatario.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento e, se non vi sono elementi che escludano la sua colpa, anche al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.

Perché la diffida in questione non è stata considerata un atto lesivo dei diritti?
Perché non introduceva nuove limitazioni o prescrizioni, ma si limitava a diffidare il soggetto al rispetto di una regola (il divieto di allontanarsi dal domicilio dopo le 21:00) già imposta con il provvedimento che aveva concesso la misura alternativa dell’affidamento in prova. Era, quindi, un mero avvertimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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