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Ricorso inammissibile: la condanna alle spese

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un cittadino avverso una sentenza della Corte d’Appello. A seguito di questa decisione, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, evidenziando le conseguenze negative di un ricorso inammissibile.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Conseguenze e Condanna alle Spese

Presentare un’impugnazione è un diritto fondamentale, ma deve essere esercitato nel rispetto delle norme procedurali. Un ricorso inammissibile non solo impedisce al giudice di esaminare il merito della questione, ma comporta anche conseguenze economiche significative per chi lo propone. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ce ne offre un chiaro esempio, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una cospicua sanzione.

La Vicenda Processuale

Il caso trae origine da una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Ancona in data 7 giugno 2024. Un cittadino, ritenendo ingiusta tale decisione, ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento. Il caso è stato quindi esaminato dalla settima sezione penale della Suprema Corte in un’udienza tenutasi il 21 febbraio 2025.

La Decisione della Corte sul Ricorso Inammissibile

Dopo aver ascoltato la relazione del Consigliere designato e aver dato avviso alle parti, la Corte di Cassazione ha emesso la sua decisione. Il verdetto è stato netto: il ricorso è stato dichiarato inammissibile.

Questa declaratoria non entra nel merito delle ragioni del ricorrente, ma si ferma a un livello preliminare, accertando che l’atto di impugnazione mancava dei requisiti essenziali previsti dalla legge per poter essere esaminato. Di conseguenza, la Corte ha condannato il ricorrente a sostenere due tipi di oneri economici:

1. Il pagamento delle spese processuali: i costi sostenuti per l’attività giudiziaria.
2. Il versamento di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, una sanzione pecuniaria prevista proprio per i casi di impugnazione inammissibile, volta a scoraggiare ricorsi dilatori o infondati.

Le motivazioni

L’ordinanza in esame è molto sintetica e si concentra sul dispositivo (la decisione finale), come spesso accade per le declaratorie di inammissibilità. Il provvedimento non esplicita i motivi specifici per cui il ricorso è stato giudicato tale. Tuttavia, la decisione di condannare il ricorrente alle spese e alla sanzione pecuniaria è la diretta e automatica conseguenza giuridica della dichiarazione di inammissibilità del ricorso. La legge, infatti, prevede queste sanzioni per responsabilizzare la parte che attiva un grado di giudizio senza averne i presupposti, gravando inutilmente sul sistema giudiziario.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: l’impugnazione è uno strumento serio, non un tentativo da esperire alla leggera. Un ricorso inammissibile non è privo di conseguenze. La condanna al pagamento di una somma, in questo caso di 3.000 euro, a favore della Cassa delle ammende, funge da deterrente contro la presentazione di appelli temerari. Per i cittadini e i loro difensori, ciò sottolinea l’importanza di una valutazione attenta e rigorosa dei presupposti di ammissibilità di un ricorso prima di presentarlo, per evitare non solo una sconfitta processuale, ma anche un significativo esborso economico.

Cosa succede quando un ricorso viene dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La parte che ha presentato il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

A quanto ammontava la sanzione pecuniaria in questo caso specifico?
Il ricorrente è stato condannato a versare la somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Contro quale decisione era stato proposto il ricorso?
Il ricorso era stato presentato avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Ancona in data 7 giugno 2024.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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