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Ricorso inammissibile: la Cassazione e la condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile presentato contro una sentenza della Corte d’Appello. La decisione si basa sulla natura dei motivi proposti, ritenuti non consentiti dalla legge, come vizi sulla determinazione della pena che non ne costituiscono illegalità. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile in Cassazione: Analisi di un’Ordinanza

Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma non tutte le impugnazioni vengono esaminate nel merito. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di ricorso inammissibile e delle sue dirette conseguenze per il proponente. Comprendere i motivi che portano a tale esito è fondamentale per chiunque si approcci al processo penale, poiché una dichiarazione di inammissibilità comporta non solo la conferma della sentenza precedente, ma anche l’imposizione di sanzioni economiche.

I Fatti del Caso

Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da un individuo avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Roma. L’imputato, tramite i suoi legali, ha deciso di impugnare la decisione di secondo grado, portando la questione dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, con la speranza di ottenere un annullamento o una riforma della condanna.

La Procedura e la Decisione sul Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione, investita del caso, ha optato per una procedura semplificata, nota come ‘de plano’, prevista dall’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale. Questa procedura consente alla Corte di decidere sulla base dei soli atti, senza la necessità di un’udienza pubblica, quando il ricorso appare manifestamente infondato o, come in questo caso, inammissibile.

La decisione è stata netta: il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di quattromila euro in favore della Cassa delle ammende. La Corte ha inoltre specificato che non sussistevano elementi per ritenere che il ricorrente avesse agito senza colpa nel proporre l’impugnazione.

Le Motivazioni della Decisione

La chiave per comprendere l’ordinanza risiede nelle motivazioni che hanno spinto i giudici a dichiarare il ricorso inammissibile. La Corte ha rilevato che le doglianze sollevate dal ricorrente non rientravano tra quelle che possono essere legittimamente presentate in sede di Cassazione. Nello specifico, i motivi del ricorso erano relativi a:

1. Motivi rinunciati: Questioni sulle quali il ricorrente aveva implicitamente o esplicitamente rinunciato a insistere nei precedenti gradi di giudizio.
2. Mancata valutazione per il proscioglimento: Critiche relative alla mancata applicazione dell’articolo 129 del codice di procedura penale, che prevede il proscioglimento per cause evidenti, ma sollevate in modo generico e non pertinente.
3. Vizi sulla determinazione della pena: Contestazioni riguardanti il modo in cui la pena era stata calcolata dal giudice di merito. La Cassazione ha chiarito che tali vizi sono rilevanti solo se si traducono in una ‘illegalità’ della sanzione (ad esempio, una pena superiore al massimo previsto dalla legge), non se riguardano la discrezionalità del giudice nell’applicarla entro i limiti edittali.

La Corte ha richiamato un proprio precedente (sentenza n. 7333/2019) per sottolineare che le censure di questo tipo esulano dal perimetro del giudizio di legittimità, trasformando di fatto il ricorso in un tentativo di ottenere una nuova valutazione del merito della causa, cosa non consentita in Cassazione.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso in Cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono ridiscutere i fatti, ma un controllo di legittimità sulla corretta applicazione della legge. Proporre un ricorso basato su motivi non consentiti porta inevitabilmente a una dichiarazione di inammissibilità. Le conseguenze pratiche sono severe: oltre alla conferma della condanna, il ricorrente subisce un’ulteriore sanzione economica. Questa decisione serve da monito sull’importanza di formulare ricorsi solidi, pertinenti e fondati esclusivamente su vizi di legittimità, per evitare esiti sfavorevoli e costi aggiuntivi.

Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta per il ricorrente la condanna al pagamento delle spese del procedimento e di una sanzione pecuniaria, in questo caso di quattromila euro, da versare alla Cassa delle ammende.

Per quali motivi specifici è stato dichiarato inammissibile il ricorso in questo caso?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché basato su motivi non consentiti dalla legge per il giudizio di Cassazione, quali doglianze relative a questioni rinunciate, alla mancata valutazione di condizioni di proscioglimento e a vizi nella determinazione della pena che non ne comportavano l’illegalità.

Cosa significa che la Corte ha deciso ‘de plano’?
Significa che la Corte di Cassazione ha preso la sua decisione di inammissibilità basandosi esclusivamente sull’analisi degli atti scritti, senza la celebrazione di una pubblica udienza, come previsto dalla procedura semplificata dell’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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