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Ricorso inammissibile: i requisiti di specificità

La Corte di Cassazione ha dichiarato un ricorso inammissibile avverso una condanna per i reati di cui agli artt. 642 e 646 del codice penale. La decisione si fonda su due motivi principali: la genericità e indeterminatezza del motivo di ricorso, che non specificava gli errori della sentenza impugnata, e l’inammissibilità della doglianza sulla recidiva, in quanto non era stata sollevata come motivo di appello nel precedente grado di giudizio. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: Quando la Cassazione Chiude la Porta

L’esito di un processo non è mai scontato, ma le regole per contestare una decisione lo sono. Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ci ricorda l’importanza cruciale della precisione e del rispetto delle procedure. Un ricorso inammissibile non è solo una sconfitta legale, ma un’occasione persa per far valere le proprie ragioni. Nell’ordinanza in esame, la Suprema Corte ha delineato con chiarezza i confini entro cui un’impugnazione può essere considerata valida, respingendo le doglianze di un imputato per vizi formali e procedurali insuperabili.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Torino, che aveva confermato una condanna per reati contro il patrimonio, specificamente quelli previsti dagli articoli 642 (fraudolento danneggiamento dei beni assicurati) e 646 (appropriazione indebita) del codice penale. L’imputato, non rassegnato alla decisione, decideva di rivolgersi alla Corte di Cassazione, affidando le sue speranze a un unico motivo di ricorso con cui lamentava una violazione di legge e un difetto di motivazione riguardo alla sua mancata assoluzione.

La Decisione della Corte e il Ricorso Inammissibile

La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa statuizione ha impedito ai giudici di entrare nel merito della questione, ovvero di valutare se l’imputato avesse o meno diritto all’assoluzione. La decisione si è basata su due pilastri fondamentali della procedura penale: la specificità dei motivi di ricorso e il principio devolutivo dell’appello, secondo cui non si possono presentare in Cassazione censure non sollevate nel precedente grado di giudizio. A seguito della declaratoria di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

Le Motivazioni della Decisione

L’ordinanza della Corte è un chiaro monito sull’importanza del rigore tecnico nella redazione degli atti di impugnazione. Le ragioni della decisione sono state articolate su due fronti distinti.

La Genericità e Indeterminatezza del Motivo di Ricorso

Il primo ostacolo che ha portato a dichiarare il ricorso inammissibile è stata la sua genericità. La Corte ha ritenuto che il motivo presentato fosse privo dei requisiti prescritti dall’articolo 581, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale. L’imputato, a fronte di una motivazione della sentenza d’appello ritenuta logica e corretta dai giudici di legittimità, non aveva indicato in modo specifico gli elementi che avrebbero dovuto sostenere la sua censura. In altre parole, il ricorso si limitava a una critica generale senza individuare i passaggi errati o le lacune logiche nel ragionamento dei giudici d’appello. Questo vizio ha impedito alla Corte di Cassazione di esercitare il proprio sindacato, non potendo identificare i rilievi concreti mossi alla sentenza impugnata.

La Censura sulla Recidiva: un Motivo non Consentito

Il secondo profilo di inammissibilità ha riguardato la doglianza relativa alla recidiva. Il ricorrente si lamentava della sua mancata esclusione, ma questa censura non era stata sollevata nei motivi di appello. L’articolo 606, comma 3, del codice di procedura penale stabilisce che non possono essere dedotte in Cassazione questioni non prospettate in appello. La Corte ha sottolineato che, come risultava dal riepilogo dei motivi di gravame nella sentenza impugnata, la questione della recidiva non era stata oggetto di contestazione nel precedente grado. Se il ricorrente avesse ritenuto tale riepilogo errato o incompleto, avrebbe dovuto contestarlo specificamente nel ricorso per cassazione, cosa che non ha fatto. Questa omissione ha reso la censura tardiva e, quindi, inammissibile.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce due principi fondamentali per chiunque affronti un’impugnazione in materia penale. In primo luogo, la redazione di un ricorso non può essere una mera ripetizione di lamentele generiche; deve essere un’analisi puntuale e critica della decisione che si contesta, indicando con precisione chirurgica dove e perché il giudice precedente ha sbagliato. In secondo luogo, il processo è scandito da fasi e preclusioni: ciò che non viene contestato al momento giusto, come in appello, non può essere recuperato in Cassazione. La decisione serve da promemoria: la forma, nel diritto processuale, è sostanza e la sua inosservanza può precludere la tutela dei propri diritti.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile per due ragioni: in primo luogo, era generico e indeterminato, poiché non indicava gli elementi specifici a fondamento della censura contro la motivazione della sentenza impugnata, violando l’art. 581 c.p.p. In secondo luogo, la doglianza sulla recidiva non era stata precedentemente dedotta come motivo di appello.

È possibile presentare per la prima volta in Cassazione un motivo non discusso in appello?
No, la Corte ha specificato che una censura, come quella relativa alla recidiva, non è consentita in sede di legittimità se non è stata previamente dedotta come motivo di appello, come prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606, comma 3, del codice di procedura penale.

Quali sono state le conseguenze economiche per il ricorrente a seguito della decisione?
Il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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