Ricorso Inammissibile: Quando il Patteggiamento Non Si Può Più Discutere
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta, è uno strumento processuale che consente di definire un procedimento penale in modo rapido. Ma cosa succede se, dopo aver raggiunto l’accordo, l’imputato ha dei ripensamenti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i limiti invalicabili per l’impugnazione di una sentenza di patteggiamento, evidenziando come un ricorso inammissibile possa avere conseguenze economiche significative.
Il Caso: Dal Patteggiamento al Ricorso in Cassazione
Un imputato, dopo aver patteggiato una pena per reati di lesioni personali aggravate, ha deciso di presentare ricorso alla Corte di Cassazione. I motivi sollevati erano principalmente due:
1. La presunta violazione dell’art. 129 del codice di procedura penale, sostenendo che il giudice avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di proscioglimento invece di ratificare il patteggiamento.
2. La violazione dell’art. 133 del codice penale, lamentando un’errata valutazione da parte del giudice degli elementi per la commisurazione della pena, ritenuta eccessiva.
In sostanza, l’imputato cercava di rimettere in discussione nel merito una decisione che aveva precedentemente concordato.
I Limiti del Patteggiamento e il Ricorso Inammissibile
La Corte di Cassazione ha respinto categoricamente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale penale, codificato nell’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce che una sentenza di patteggiamento può essere impugnata solo per motivi molto specifici, che non includono quelli sollevati dal ricorrente.
I Motivi Ammessi per l’Impugnazione
L’appello contro un patteggiamento è consentito esclusivamente per:
* Vizi della volontà: Se il consenso dell’imputato non è stato espresso liberamente.
* Difetto di correlazione: Se c’è una discrepanza tra la richiesta di patteggiamento e la sentenza del giudice.
* Errata qualificazione giuridica: Se il fatto è stato classificato come un reato diverso da quello corretto.
* Illegalità della pena: Se la sanzione applicata non è prevista dalla legge, o supera i limiti massimi, o è di specie diversa da quella legale.
La Differenza tra Illegalità e Commisurazione della Pena
La Corte ha ribadito una distinzione fondamentale: un conto è l’illegalità della pena, un altro è la sua commisurazione. Il ricorso è ammesso solo nel primo caso. Lamentarsi che la pena sia ‘troppo alta’ ma comunque entro i limiti di legge rientra nella ‘commisurazione’ (art. 133 c.p.) e non può essere motivo di ricorso contro un patteggiamento. Allo stesso modo, non è possibile contestare in Cassazione la mancata assoluzione (art. 129 c.p.p.), poiché la scelta del patteggiamento implica una rinuncia a far valere tali argomenti in un dibattimento.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte sono state nette e proceduralmente rigorose. Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi addotti non rientravano in alcuna delle ipotesi tassativamente previste dalla legge. La giurisprudenza citata nell’ordinanza conferma che la valutazione sulla congruità della pena o sul bilanciamento delle circostanze, così come la potenziale esistenza di cause di proscioglimento, sono questioni che esulano dal perimetro del sindacato di legittimità su una sentenza di patteggiamento. La scelta di questo rito speciale comporta l’accettazione della pena concordata e la rinuncia a un accertamento completo dei fatti.
Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche della Sentenza
Questa ordinanza rafforza il principio della stabilità delle sentenze di patteggiamento. La decisione della Cassazione serve da monito: la via del patteggiamento, una volta intrapresa, preclude la possibilità di ripensamenti basati su valutazioni di merito. Un ricorso inammissibile non solo non porta a nessun risultato utile, ma determina anche conseguenze economiche negative per il ricorrente. In questo caso, oltre al pagamento delle spese processuali, l’imputato è stato condannato a versare una somma di 4.000 euro alla Cassa delle ammende, a causa della palese infondatezza e colpa nell’aver proposto l’impugnazione. La scelta di patteggiare deve essere, quindi, ponderata e consapevole delle sue limitate vie di impugnazione.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento perché si ritiene la pena troppo alta?
No, non è possibile. Il ricorso è inammissibile se contesta la misura della pena (la sua commisurazione), mentre è ammesso solo se ne contesta l’illegalità, ovvero se la sanzione applicata non è prevista dalla legge o supera i limiti massimi consentiti.
Se dopo aver patteggiato si ritiene che ci fossero le condizioni per un’assoluzione, si può fare ricorso?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che tra i motivi di ricorso contro una sentenza di patteggiamento non rientra l’omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per una sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 del codice di procedura penale.
Cosa succede se si presenta un ricorso inammissibile contro una sentenza di patteggiamento?
In caso di inammissibilità del ricorso, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, tale somma è stata quantificata in 4.000 euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6707 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6707 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/01/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LECCE il 11/02/1984
avverso la sentenza del 16/09/2024 del GIP TRIBUNALE di LECCE
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con la quale il G.i.p. del Tribunale di Lecce gli ha applicato la pena ex art. 444 cod. proc. pen. per il reati di cui agli artt. 582, 583, comma 1, n.1 e 585, comma 1, cod. pen. e artt. 61 n. 2, 2 e 4 legge n. 895 del 1967;
considerato che il primo motivo di ricorso, con il quale sono stati prospettati la violazio di legge e il vizio della motivazione in ragione della mancata pronuncia di una sentenza ex art. 129 cod. proc. pen., ed il secondo, che ha assunto la violazione dell’art. 133 cod. pen., sono inammissibil perché:
contro
la sentenza di applicazione della pena su richiesta il ricorso per cassazione è consentito «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difett correlazione fra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla ille della pena o della misura di sicurezza» (art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen.);
– ed è, per l’appunto, «inammissibile» – poiché non rientra nelle predette ipotesi -il ricors per cassazione avverso la sentenza di applicazione della pena che deduca: «motivi concernenti, non l’illegalità della pena, intesa come sanzione non prevista dall’ordinamento giuridico ovvero eccedente, per specie e quantità, il limite legale, ma profili commisurativi della stessa, discenden dalla violazione dei parametri di cui all’art. 133 cod. pen., ovvero attinenti al bilanciamento d circostanze del reato o alla misura delle diminuzioni conseguenti alla loro applicazione» (Sez. 5, n. 19757 del 16/04/2019, COGNOME, Rv. 276509 – 01); «l’omessa valutazione da parte del giudice delle condizioni per pronunziare sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen.» (Sez. 2, n. 4727 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272014 – 01);
ritenuto che all’inammissibilità – da dichiararsi de plano ai sensi dell’art. 610, comma 5bis, cod. proc. pen. – consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro quattromila, atteso che l’evidente inammissibilità dell’impugnazione impone di attribuirgli profili di colpa (cfr. Corte cost., sent. n. 186 del 13/06/2 Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, COGNOME, Rv. 267585 – 01);
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/01/2025.