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Ricorso inammissibile: condanna alle spese processuali

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo contro una sentenza della Corte d’Appello. La decisione si fonda sul principio che l’origine delittuosa di un bene può essere desunta dalla sua natura e dalle sue caratteristiche, senza che sia necessaria una formale denuncia. A seguito della dichiarazione di ricorso inammissibile, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

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Pubblicato il 29 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Inammissibile: la Cassazione Condanna al Pagamento delle Spese

L’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione il 23 maggio 2025 offre un importante spunto di riflessione sui requisiti di ammissibilità dei ricorsi e sulle conseguenze di un ricorso inammissibile. Con una decisione netta, la Suprema Corte ha rigettato l’istanza di un ricorrente, confermando la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte d’Appello di una città del Sud Italia, datata 15 ottobre 2024. Il ricorrente ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale, dopo aver dato avviso alle parti e ascoltato la relazione del Consigliere relatore, si è pronunciata sul merito dell’ammissibilità del ricorso stesso.

La Decisione della Corte: il Ricorso Inammissibile

Il fulcro della decisione della Suprema Corte risiede nella dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questo significa che i giudici non sono entrati nel merito delle questioni sollevate dal ricorrente, ma si sono fermati a una valutazione preliminare, riscontrando la mancanza dei presupposti necessari affinché il ricorso potesse essere esaminato. La conseguenza diretta di un ricorso inammissibile è la sua reiezione in limine, senza alcuna discussione sul fondo della controversia.

Le Motivazioni alla Base della Decisione

La Corte ha chiarito un principio giuridico fondamentale: per accertare l’origine delittuosa di un bene non è sempre indispensabile un previo accertamento formale del reato presupposto né una denuncia ufficiale. Secondo i giudici, l’origine illecita può essere desunta logicamente dalla natura stessa del bene e dalle sue caratteristiche peculiari.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che questi elementi fossero sufficienti a fondare la decisione impugnata. Pertanto, il ricorso, non riuscendo a scalfire questa logica, è stato considerato privo dei requisiti per essere accolto e, di conseguenza, dichiarato inammissibile. La Corte ha quindi condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver adito la giustizia con un’impugnazione palesemente infondata.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: l’accesso alla Corte di Cassazione è riservato a ricorsi che presentino vizi specifici e ben argomentati. Un’impugnazione basata su motivi generici o manifestamente infondati viene sanzionata con l’inammissibilità e con conseguenze economiche significative per il proponente. La decisione sottolinea come la prova dell’origine illecita di un bene possa avere anche natura logico-indiziaria, senza richiedere necessariamente un accertamento formale del reato a monte, snellendo così l’iter processuale in determinate circostanze.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la Corte ha ritenuto che l’origine illecita del bene potesse essere desunta dalla sua natura e dalle sue caratteristiche, senza che fosse necessario un preventivo accertamento formale del reato presupposto o una denuncia.

Quali sono le conseguenze economiche per il ricorrente?
A seguito della dichiarazione di inammissibilità, il ricorrente è stato condannato al pagamento di tutte le spese processuali e a versare una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

È sempre necessaria una denuncia per provare l’origine illecita di un bene?
No, secondo questa ordinanza, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’origine delittuosa di un bene può essere dedotta logicamente dalla sua natura e dalle circostanze, anche in assenza di una formale denuncia del reato presupposto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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