Ricorso Inammissibile in Cassazione: Analisi di un’Ordinanza
L’esito di un processo non dipende solo dalla fondatezza delle proprie ragioni, ma anche dal rigoroso rispetto delle regole procedurali. Un esempio emblematico è il caso del ricorso inammissibile, una situazione in cui l’atto di impugnazione non supera il vaglio preliminare della Corte per vizi di forma o di sostanza. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre lo spunto per analizzare le conseguenze di tale declaratoria, che vanno oltre la semplice delusione processuale.
I Fatti del Caso
La vicenda trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli. L’individuo, ritenendo ingiusta la decisione dei giudici di secondo grado, ha deciso di adire la Suprema Corte di Cassazione, l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, per far valere le proprie ragioni. Il caso è stato assegnato alla Settima Sezione Penale, che ha proceduto all’esame preliminare dell’atto.
La Decisione della Corte e il concetto di ricorso inammissibile
Con una sintetica ma perentoria ordinanza, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della questione, ovvero non stabilisce se l’imputato avesse torto o ragione. Piuttosto, la Corte si è fermata a un gradino precedente, rilevando che il ricorso non possedeva i requisiti minimi richiesti dalla legge per poter essere discusso.
L’inammissibilità può derivare da svariate cause: la presentazione del ricorso oltre i termini di legge, la mancanza di motivi specifici di impugnazione, l’assenza di un interesse concreto a ricorrere o altri vizi procedurali che impediscono al giudice di esaminare la fondatezza delle censure mosse alla sentenza impugnata.
Le Motivazioni
Sebbene l’ordinanza in esame sia estremamente concisa, la motivazione è insita nella stessa formula utilizzata. Dichiarare un ricorso inammissibile significa che la Corte ha riscontrato un vizio insanabile che ne preclude l’analisi. La motivazione della condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria risiede nella necessità di sanzionare l’abuso dello strumento processuale. Presentare un ricorso privo dei requisiti essenziali non solo si rivela inutile per il ricorrente, ma comporta un dispendio di risorse per il sistema giudiziario. La sanzione ha quindi una duplice funzione: risarcitoria per l’impegno dell’apparato statale e deterrente, per scoraggiare la presentazione di impugnazioni avventate o dilatorie.
Le Conclusioni
Le conseguenze della declaratoria di inammissibilità sono state immediate e gravose per il ricorrente. La Corte, infatti, non si è limitata a respingere l’impugnazione, ma ha condannato l’imputato a due specifiche sanzioni economiche: il pagamento delle spese processuali e il versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale del diritto processuale: l’accesso alla giustizia è un diritto, ma il suo esercizio deve avvenire nel rispetto delle regole. Un ricorso inammissibile non è solo un’occasione persa, ma comporta conseguenze economiche tangibili, volte a responsabilizzare le parti e a preservare l’efficienza della funzione giurisdizionale.
Cosa significa quando un ricorso viene dichiarato ‘inammissibile’?
Significa che il ricorso non può essere esaminato nel merito perché manca dei requisiti di forma o di sostanza previsti dalla legge. La Corte non valuta se il ricorrente ha ragione o torto, ma si ferma a una valutazione preliminare che impedisce l’analisi del caso.
Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso inammissibile?
Come stabilito nel provvedimento analizzato, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, in questa circostanza pari a tremila euro, da versare alla Cassa delle ammende.
Perché il ricorrente deve pagare una somma alla Cassa delle ammende?
Il pagamento di una somma alla Cassa delle ammende è una sanzione prevista dalla legge per scoraggiare la presentazione di ricorsi palesemente infondati o privi dei requisiti procedurali, evitando così di sovraccaricare inutilmente il sistema giudiziario.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22216 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22216 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a NAPOLI il 11/03/1981
avverso la sentenza del 26/06/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
visti gli atti e la sentenza impugnata visto il ricorso di COGNOME NOME;
OSSERVA
Ritenuto che il primo motivo di ricorso con cui si deduce l’insussistenza del dolo
l’inoffensività della condotta di evasione è riproduttivo di censure adeguatamente confutata avendo la Corte di appello escluso, a confutazione della lettura riduttiva prospettata dalla dif
come l’assenza per tre giorni dall’abitazione avesse palesato l’offensività della condotta allontanamento e la sussistenza dell’elemento soggettivo;
rilevato che il secondo motivo con cui si censura l’omesso riconoscimento della causa di non
punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen. costituisce motivo non dedotto in sede di grava non certo evincibile dalla condotta che ha visto il ricorrente allontanarsi per tre
dall’abitazione ove era sottoposto agli arresti domiciliari con il dispositivo elettronico di co previamente forzato e rimosso;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 26/05/2025.