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Ricorso inammissibile: condanna alle spese e multa

La Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile contro una sentenza della Corte d’Appello di Firenze. A causa della manifesta infondatezza e della colpa del ricorrente, quest’ultimo viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 c.p.p.

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Pubblicato il 5 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso inammissibile in Cassazione: le conseguenze economiche

Presentare un ricorso in Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma cosa succede quando l’impugnazione è palesemente priva di fondamento? Una recente ordinanza della Suprema Corte chiarisce che un ricorso inammissibile non solo viene respinto, ma può comportare significative sanzioni economiche per il proponente. Questa decisione sottolinea l’importanza di valutare attentamente i presupposti di un’impugnazione per evitare conseguenze negative.

I fatti del caso

Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello di Firenze. L’appellante ha deciso di portare la questione davanti alla Corte di Cassazione, chiedendo l’annullamento della decisione di secondo grado. La Suprema Corte, riunitasi in udienza, ha esaminato i motivi del ricorso proposto.

La decisione della Corte sul ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha concluso il procedimento con una declaratoria di inammissibilità del ricorso. Questa decisione non è entrata nel merito delle questioni sollevate, ma si è fermata a un giudizio preliminare sulla sua ammissibilità. La Corte ha ritenuto che l’impugnazione fosse talmente priva dei requisiti richiesti dalla legge da dover essere dichiarata immediatamente inammissibile.

Le motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sull’articolo 616 del codice di procedura penale. Secondo la Suprema Corte, l’inammissibilità del ricorso era talmente evidente da far emergere profili di colpa in capo al ricorrente. In questi casi, la legge non prevede solo la condanna al pagamento delle spese processuali, ma anche il versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende. La Corte ha citato precedenti pronunce, sia della Corte Costituzionale (sent. n. 186/2000) sia della stessa Cassazione (sent. n. 30247/2016), che consolidano il principio secondo cui l’abuso dello strumento processuale, attraverso la proposizione di impugnazioni palesemente infondate, deve essere sanzionato. La somma, determinata in via equitativa in tremila euro, ha lo scopo di sanzionare il ricorrente per aver gravato inutilmente sul sistema giudiziario con un ricorso inammissibile.

Le conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: l’accesso alla giustizia deve essere esercitato con responsabilità. La proposizione di un ricorso in Cassazione palesemente infondato o privo dei requisiti di legge non è un’azione priva di conseguenze. Oltre alla soccombenza e al pagamento delle spese legali, il ricorrente rischia una sanzione pecuniaria anche cospicua. La decisione funge da monito per i litiganti e i loro difensori, sollecitando una valutazione più attenta e rigorosa dei motivi di ricorso, al fine di evitare non solo una sconfitta processuale, ma anche un aggravio economico significativo.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese del procedimento. Se, come in questo caso, l’inammissibilità è evidente e riconducibile a colpa del ricorrente, il giudice può anche condannarlo a pagare una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

Per quale motivo il ricorrente è stato condannato a pagare una somma aggiuntiva di tremila euro?
La condanna al pagamento di tremila euro è stata disposta perché la Corte ha ravvisato una colpa nel ricorrente, dovuta alla palese e manifesta inammissibilità della sua impugnazione. Questa sanzione ha lo scopo di punire l’uso improprio dello strumento processuale che ha appesantito senza motivo il lavoro della giustizia.

A cosa serve la Cassa delle ammende?
La Cassa delle ammende è un ente statale che raccoglie i proventi delle sanzioni pecuniarie inflitte nei procedimenti penali. I fondi raccolti vengono utilizzati per finanziare progetti volti al miglioramento delle condizioni delle carceri e alla rieducazione e reinserimento sociale dei detenuti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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