Ricorso Inammissibile: la Cassazione chiarisce i limiti del patteggiamento in appello
L’ordinanza in esame offre un importante chiarimento sui limiti dell’impugnazione in Cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di accordo sulla pena in appello. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo principi consolidati in materia di procedura penale e confermando la condanna del ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione. Questo caso evidenzia come la scelta di una procedura concordata limiti le successive possibilità di contestazione.
I fatti del caso: un appello concordato
Il procedimento trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello di Genova. Tale sentenza era stata emessa ai sensi dell’articolo 599-bis del codice di procedura penale, una norma che permette alle parti (imputato e Pubblico Ministero) di accordarsi sull’accoglimento, in tutto o in parte, dei motivi di appello, con una conseguente rideterminazione della pena. In sostanza, si tratta di una forma di “patteggiamento” nel giudizio di secondo grado. Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato ha deciso di presentare ricorso per Cassazione, lamentando in termini generici una violazione di legge.
La Decisione della Corte: il ricorso inammissibile
La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, con una procedura semplificata e senza formalità, ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La Corte ha osservato che i motivi addotti dal ricorrente non rientravano tra quelli consentiti dalla legge per questo tipo di impugnazione. Di conseguenza, oltre a confermare la decisione della Corte d’Appello, ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Cassazione
La motivazione della Corte si fonda su un punto cruciale del diritto processuale penale. Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché proposto per motivi non consentiti e formulato in modo meramente assertivo. La Suprema Corte ha sottolineato che quando le parti concordano la pena in appello, come previsto dall’art. 599-bis c.p.p., indicano precisamente al giudice la sanzione da applicare. Il giudice, condividendo tale scelta, emette una sentenza che riflette la volontà concordata.
Di conseguenza, un successivo ricorso per Cassazione che tenti di rimettere in discussione la pena concordata, o che si basi su una generica doglianza di “violazione di legge” senza specificare vizi concreti del provvedimento, esula dalle impugnazioni ammesse. La natura consensuale della sentenza di patteggiamento in appello limita fortemente i motivi per cui si può ricorrere al giudice di legittimità, escludendo contestazioni che contraddicono l’accordo precedentemente raggiunto.
Conclusioni: implicazioni pratiche
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale: la scelta di un rito alternativo come il concordato in appello comporta delle conseguenze precise, tra cui una limitazione delle facoltà di impugnazione. La decisione di accordarsi sulla pena implica una sostanziale accettazione della stessa, rendendo pretestuoso un successivo ricorso che non si fondi su vizi specifici e consentiti dalla legge (come ad esempio un errore di calcolo della pena o un vizio di consenso). Per i professionisti e i loro assistiti, ciò significa che la decisione di accedere a un patteggiamento in appello deve essere ponderata attentamente, essendo consapevoli che tale scelta cristallizza in larga misura l’esito del processo, con ridotte possibilità di un riesame da parte della Corte di Cassazione. La condanna alle spese e alla sanzione pecuniaria funge inoltre da deterrente contro la presentazione di ricorsi palesemente infondati.
Quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Secondo l’ordinanza, un ricorso è dichiarato inammissibile quando è proposto per motivi non consentiti dalla legge o quando le censure sono formulate in termini meramente assertivi, come una generica doglianza di violazione di legge, senza specificare vizi concreti.
È possibile impugnare una sentenza di ‘patteggiamento in appello’ (art. 599-bis c.p.p.)?
Sì, ma con limiti molto stringenti. L’impugnazione non può rimettere in discussione la pena che è stata oggetto di accordo tra le parti, a meno che non si lamentino vizi specifici ammessi dalla legge, poiché la scelta sanzionatoria è stata condivisa e indicata al giudice dalle parti stesse.
Quali sono le conseguenze di un ricorso inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in denaro, a titolo di sanzione, in favore della Cassa delle ammende. In questo caso, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23647 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 6 Num. 23647 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 27/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME ( CODICE_FISCALE ) nato il DATA_NASCITA ì n unis .ìa avverso la sentenza del 27/03/2024 della CORTE APPELLO di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette/sentite le conclusioni del PG
R.G. 17357-2024
COGNOME
OSSERVA
Ritenuto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con procedura semplificata e senza formalità, perché proposto per motivi non consentiti. Il proposto ricorso, che peraltro evoca in termini meramente assertivi vizio di violazione di legge, esula dalle impugnazioni sperimentabili avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen. dal momento che, in sede di pena concordata, le parti hanno precisamente indicato al giudice, che ha condiviso la scelta sanzionatoria, la pena da applicare.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 27/05/2024.