Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23819 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23819 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Bettona il 10/4/1957
avverso il decreto del Magistrato di Sorveglianza di Perugia del 25/11/2024
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio del decreto impugnato;
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto reclamo avverso il decreto del Magistrato di Sorveglianza del 25.11.2024, che ha rigettato la richiesta di modifica delle prescrizioni imposte al condannato in regime di detenzione domiciliare per consentirgli di svolgere il lavoro di pubblica utilità cui era stato ammesso per effetto della sospensione di altro procedimento con messa alla prova.
In particolare, il Magistrato di sorveglianza aveva respinto l’istanza, ‘reputandosi prevalente l’esecuzione di pena definitiva, non compatibile con contestuale messa alla prova’.
1.2 Con il reclamo, il difensore ha premesso che COGNOME condannato in via definitiva e ammesso alla detenzione domiciliare ex art. 47ter Ord. pen., aveva fruito della sospensione con messa alla prova in altro procedimento, con udienza fissata al 26.2.2025 per la verifica dei lavori di pubblica utilità da svolgersi presso una struttura individuata.
Ha dedotto, quindi, violazione e/o erronea applicazione dell’art. 47 -ter Ord. Pen., in relazione agli artt. 168bis cod. pen. e 464bis cod. proc. pen., lamentando che la decisione impugnata non abbia motivato le ragioni del diniego.
1.3 L’Ufficio di Sorveglianza di Perugia ha riqualificato il reclamo come ricorso per cassazione.
Con requisitoria scritta trasmessa il 28.2.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto l’annullamento con rinvio del decreto impugnato, in quanto si è basato sulla ritenuta non compatibilità in astratto fra detenzione domiciliare in espiazione pena e messa alla prova, in contrasto con il principio enunciato dalla Corte di cassazione secondo cui la coesistenza della misura alternativa alla detenzione con il regime della messa alla prova, anteriormente o successivamente disposta, deve essere ammessa tutte le volte in cui risulti possibile armonizzare le relative prescrizioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, così qualificato dal giudice di merito, risulta presentato da difensore non legittimato, in quanto non iscritto all’albo speciale dei difensori abilitati dinanzi alla Corte di cassazione, come previsto, a pena di inammissibilità, dall’art. 613 cod. proc. pen.
La conversione del reclamo originario, qualificato come ricorso in cassazione dal giudice di merito, non preclude di rilevare il difetto di legittimazione del ricorrente, avendo questa Corte ripetutamente evidenziato l’impossibilità di realizzare sanatorie postume dell’originaria inammissibilità del gravame.
È stato affermato, infatti, che sull’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto da avvocato non abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, non può influire il principio di conversione o di qualificazione giuridica dell’impugnazione, espresso dall’art. 568 cod. proc. pen.: la conversione si realizza sulla base di crit e ri oggettivi e il principio di conservazione degli atti processuali, sotteso al meccanismo della conversione, non giustifica la deroga ai requisiti
formali e sostanziali previsti per ciascun mezzo di gravame (Sez. 6, n. 42385 del 17/9/2019, COGNOME, Rv. 277208 -01; Sez. 3, n. 48492 del 13/11/2013, COGNOME, Rv. 258000 -01; Sez. 4, n. 35830 del 27/6/2013, COGNOME, Rv. 256835 -01).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende di una somma di euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso l’1.4 .2025