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Ricorso in Cassazione personale: quando è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in Cassazione personale presentato da un imputato condannato per tentata rapina. La decisione si basa sulla normativa che impone la sottoscrizione dell’atto da parte di un avvocato cassazionista, pena l’inammissibilità, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso in Cassazione personale: le regole per non sbagliare

Presentare un ricorso in Cassazione personale, ovvero redatto e sottoscritto direttamente dall’imputato, è una scelta che comporta conseguenze procedurali molto severe. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale: l’inammissibilità di tale atto. Analizziamo la decisione per comprendere le ragioni giuridiche e le implicazioni pratiche per chiunque si trovi ad affrontare l’ultimo grado di giudizio.

I Fatti del Caso

La vicenda processuale ha origine da una condanna per il reato di tentata rapina impropria. La Corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione di primo grado, aveva rideterminato la pena inflitta all’imputato. Contro questa sentenza, l’imputato ha deciso di agire personalmente, presentando ricorso alla Corte di Cassazione. È importante sottolineare un dettaglio cruciale: l’imputato ha redatto l’atto di suo pugno, limitandosi a “riservare i motivi al difensore”, senza quindi articolare specifiche censure contro la sentenza impugnata.

La questione del ricorso in Cassazione personale

Il nodo centrale della questione non riguarda il merito della condanna, ma un aspetto puramente procedurale: la validità di un ricorso presentato in Cassazione direttamente dalla parte. La legge processuale penale stabilisce regole molto rigide per l’accesso al giudizio di legittimità, pensate per garantire la tecnicità e la specificità delle doglianze.

L’obbligo del difensore cassazionista

A differenza dei gradi di merito, dove in alcuni casi la parte può compiere determinati atti, il ricorso per Cassazione deve essere obbligatoriamente sottoscritto da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale, detto “albo dei cassazionisti”. Questa regola, rafforzata da una modifica legislativa del 2017, ha lo scopo di assicurare che le questioni sottoposte alla Suprema Corte siano filtrate da un professionista qualificato, capace di individuare e formulare correttamente i vizi di legittimità della sentenza.

Le Motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato il ricorso inammissibile, basando la sua decisione su due pilastri argomentativi.

Il primo è il richiamo diretto all’art. 613 del codice di procedura penale, come modificato dalla legge n. 103 del 2017. Questa norma ha escluso categoricamente la facoltà per la parte di presentare personalmente il ricorso. La Corte cita a supporto un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (la n. 8914 del 2018), che ha sancito in modo definitivo che qualsiasi ricorso per cassazione, indipendentemente dal tipo di provvedimento impugnato, deve essere sottoscritto da un difensore cassazionista, pena l’inammissibilità.

Il secondo profilo di inammissibilità rilevato è la totale assenza di motivi. L’imputato si era limitato a una generica riserva, senza indicare quali fossero le violazioni di legge o i vizi di motivazione della sentenza d’appello. Anche questo aspetto, da solo, sarebbe stato sufficiente a determinare l’inammissibilità, poiché il ricorso deve contenere censure specifiche e dettagliate.

La semplice attestazione di autenticità della firma da parte di un avvocato, posta in calce all’atto, non è stata ritenuta sufficiente a “salvare” il ricorso. La Corte ha chiarito che tale autentica non equivale a una volontà del difensore di fare proprio il contenuto dell’atto, che rimane un’iniziativa personale della parte.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La decisione della Corte si conclude con la dichiarazione di inammissibilità del ricorso. Questa declaratoria comporta due conseguenze economiche dirette per il ricorrente: la condanna al pagamento delle spese del procedimento e il versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte con un ricorso palesemente inammissibile.

L’insegnamento che si trae da questa ordinanza è chiaro e perentorio: il giudizio di Cassazione è un terreno altamente tecnico. Affidarsi al “fai da te” non è un’opzione percorribile. È indispensabile rivolgersi a un difensore abilitato al patrocinio presso le giurisdizioni superiori, l’unico soggetto autorizzato dalla legge a redigere e sottoscrivere l’atto di ricorso, garantendone la conformità ai requisiti formali e sostanziali richiesti.

Un imputato può presentare personalmente ricorso in Cassazione?
No, la legge e la giurisprudenza consolidata stabiliscono che il ricorso per Cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale, comunemente detto “cassazionista”.

Cosa accade se un ricorso in Cassazione è privo di motivi specifici?
Un ricorso è inammissibile anche quando è privo dei motivi, ovvero non indica in modo specifico le violazioni di legge o i vizi di motivazione della sentenza che si intende impugnare. Una generica riserva di presentare i motivi in un secondo momento non è sufficiente.

Quali sono le conseguenze economiche di un ricorso dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della cassa delle ammende, il cui importo viene fissato equitativamente dal giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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