Ricorso in Cassazione Personale: È Ancora Possibile?
Il ricorso in Cassazione personale, ovvero la possibilità per un imputato o un condannato di presentare autonomamente un’impugnazione davanti alla Suprema Corte, è un tema che ha subito una svolta decisiva con la recente normativa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce con fermezza un principio ormai consolidato: senza la firma di un avvocato specializzato, il ricorso è destinato all’inammissibilità. Analizziamo questa decisione per capire le ragioni e le conseguenze pratiche.
I Fatti del Caso: Un Ricorso Senza Difensore
La vicenda trae origine dalla richiesta di un condannato al Tribunale di Roma per ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione in executivis. Si tratta di un istituto che consente di ricalcolare la pena quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.
Il Tribunale ha dichiarato l’istanza inammissibile. Contro questa decisione, il condannato ha deciso di agire autonomamente, presentando personalmente un ricorso alla Corte di Cassazione, senza l’assistenza di un legale.
La Decisione della Corte sul Ricorso in Cassazione Personale
La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso e lo ha dichiarato immediatamente inammissibile. La decisione non entra nel merito della richiesta originaria (la continuazione), ma si ferma a un aspetto puramente formale e procedurale: la mancanza della sottoscrizione di un difensore abilitato.
Secondo i giudici, sia l’ordinanza impugnata che il ricorso stesso erano successivi all’entrata in vigore della Legge n. 103 del 2017 (la cosiddetta ‘Riforma Orlando’), che ha modificato in modo sostanziale le regole per accedere al giudizio di legittimità.
Le Motivazioni della Sentenza
La Corte ha basato la sua decisione su un’argomentazione giuridica chiara e inequivocabile. La Legge n. 103 del 2017 ha modificato gli articoli 571 e 613 del codice di procedura penale, escludendo la facoltà dell’imputato (e quindi anche del condannato) di proporre personalmente ricorso per cassazione. La nuova normativa prevede che l’atto debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Corte di Cassazione.
Questo principio era già stato affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 8914 del 2017, che ha chiarito come la riforma si applichi a tutti i ricorsi proposti dopo la sua entrata in vigore.
La Corte ha inoltre applicato l’articolo 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale, introdotto dalla stessa legge, che rende obbligatoria la dichiarazione di inammissibilità in questi casi. Oltre a ciò, l’inammissibilità ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, poiché non è stato possibile escludere un profilo di colpa nella sua condotta processuale.
Conclusioni
Questa ordinanza conferma un punto fondamentale della procedura penale: l’accesso alla Corte di Cassazione richiede un’assistenza tecnica qualificata. La riforma del 2017 ha voluto rafforzare la funzione deflattiva e di garanzia del ricorso, riservandolo a questioni di diritto complesse che solo un avvocato cassazionista può adeguatamente trattare. Per i cittadini, la lezione è chiara: qualsiasi tentativo di presentare un ricorso in Cassazione personale è destinato a fallire, comportando non solo la mancata discussione del merito, ma anche sanzioni economiche. È quindi indispensabile rivolgersi a un legale specializzato per qualsiasi impugnazione davanti alla Suprema Corte.
Un condannato può presentare personalmente un ricorso alla Corte di Cassazione?
No. A seguito della Legge n. 103 del 2017, è stata esclusa la facoltà per l’imputato o il condannato di proporre personalmente ricorso per cassazione. L’atto deve essere obbligatoriamente sottoscritto da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di Cassazione.
Qual è la conseguenza se un ricorso in Cassazione viene presentato senza la firma di un avvocato abilitato?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò significa che la Corte non esaminerà il merito della questione. Inoltre, colui che ha presentato il ricorso viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
La regola che impone l’assistenza di un avvocato per il ricorso in Cassazione si applica a tutti i procedimenti?
Sì, la sentenza chiarisce che la regola introdotta dalla Legge n. 103 del 2017 si applica a tutti i ricorsi proposti dopo la sua data di entrata in vigore (3 agosto 2017), inclusi quelli relativi alla fase esecutiva della pena.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 6686 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 6686 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 05/09/2023 del TRIBUNALE di ROMA
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udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
NOME COGNOME ha proposto personalmente ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il Tribunale di Roma ha dichiarato l’inammissibilità dell’istanza di applicazione della disciplina della continuazione in executivis.
Sia il provvedimento impugnato sia il ricorso sono però successivi al 3 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato, e quindi anche del condannato, di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che esso deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione (artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 272010).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., in trodotto dalla medesima legge n. 103 del 2017.
Segue all’inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non potendo escludersi profili di colpa, anche alla sanzione in favore della cassa delle ammende (Corte cost. n. 186 del 2000) che si ritiene equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2024.