Ricorso in Cassazione Inammissibile: Quando e Perché i Motivi non Vengono Esaminati
Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione è l’ultimo grado di giudizio nel sistema legale italiano, una fase delicata che richiede un’estrema precisione tecnica. Non tutte le impugnazioni, però, arrivano a una discussione nel merito. Con l’ordinanza n. 27271/2024, la Suprema Corte ci offre un chiaro esempio pratico di un ricorso in Cassazione inammissibile, spiegando perché certi motivi non possono nemmeno essere presi in considerazione. Questo caso diventa una lezione fondamentale sui limiti e le regole del giudizio di legittimità.
Il Caso in Analisi: Un Appello Respinto in Partenza
La vicenda processuale ha origine dalla condanna di un imputato per il reato previsto dall’art. 95 del D.P.R. 115/2002. Dopo la conferma della sentenza di primo grado da parte della Corte d’Appello di Potenza, la difesa decide di tentare l’ultima carta, proponendo ricorso per cassazione. Tuttavia, l’esito non è quello sperato: la Corte Suprema dichiara il ricorso inammissibile senza entrare nel vivo delle questioni sollevate.
I Motivi del Ricorso e la Valutazione della Corte
La difesa aveva articolato il proprio ricorso su tre punti principali:
1. Due motivi relativi alla dosimetria della pena, ovvero alla quantificazione della sanzione inflitta.
2. Un terzo motivo che lamentava il mancato accertamento dell’elemento psicologico del reato, cioè l’intenzione o la colpa del soggetto.
La Corte di Cassazione, però, ha bloccato l’analisi sul nascere, ritenendo tutti i motivi non validi per ragioni puramente procedurali.
Perché il Ricorso in Cassazione è Stato Dichiarato Inammissibile?
L’ordinanza è molto chiara nell’evidenziare due errori cruciali commessi dalla difesa, che rappresentano classici esempi di inammissibilità nel giudizio di legittimità.
Motivi Nuovi: Un Errore Strategico Fatale
I primi due motivi, riguardanti la pena, sono stati considerati inammissibili perché sollevati per la prima volta in Cassazione. La Corte ha sottolineato un principio fondamentale: i motivi di ricorso in Cassazione devono vertere su questioni già devolute alla Corte d’Appello. Non è possibile “riservarsi” degli argomenti per l’ultimo grado di giudizio. Introdurre censure nuove, che il giudice d’appello non ha potuto esaminare, configurerebbe un “difetto di motivazione a priori” e snaturerebbe la funzione della Cassazione. Anche una generica lamentela in appello, specificata solo in Cassazione, non è sufficiente.
Doglianze di Fatto: Il Limite Invalicabile della Cassazione
Il terzo motivo, relativo all’elemento psicologico, è stato respinto perché qualificato come doglianza in fatto. La Corte di Cassazione svolge un “giudizio di legittimità”, non un “giudizio di merito”. Il suo compito non è rivalutare le prove o proporre una ricostruzione dei fatti diversa da quella dei giudici precedenti, ma solo verificare che la legge sia stata applicata correttamente e che la motivazione della sentenza impugnata sia logica e non contraddittoria. Nel caso di specie, la difesa si era limitata a opporre la propria valutazione a quella, ritenuta logica, della Corte d’Appello, chiedendo di fatto alla Cassazione di agire come un terzo giudice di merito, cosa che le è preclusa.
Le Motivazioni della Decisione
Nelle sue motivazioni, la Corte ha spiegato che il ricorso era privo della necessaria analisi critica delle argomentazioni della sentenza d’appello. Invece di evidenziare vizi di legittimità (come un’errata applicazione della legge o una motivazione manifestamente illogica), la difesa ha proposto una diversa interpretazione dei fatti. La Suprema Corte, citando consolidata giurisprudenza (incluse le Sezioni Unite), ha ribadito che il suo vaglio si ferma di fronte a un ragionamento del giudice di merito che sia coerente e privo di palesi errori logici. Pertanto, essendo i motivi proposti estranei ai poteri di controllo della Corte, il ricorso non poteva che essere dichiarato inammissibile.
Conclusioni: Le Conseguenze Pratiche e le Lezioni per la Difesa
La dichiarazione di inammissibilità non è priva di conseguenze. Ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende. La lezione che emerge da questa ordinanza è chiara: il ricorso in Cassazione è uno strumento tecnico che richiede il massimo rigore. Non è una terza occasione per discutere i fatti, né la sede per introdurre argomenti nuovi. La difesa deve concentrarsi esclusivamente sulla dimostrazione di specifici errori di diritto o vizi logici macroscopici presenti nella sentenza impugnata, basandosi sulle questioni già affrontate nei gradi di merito.
È possibile presentare in Cassazione motivi di ricorso non discussi in Appello?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che non è possibile sollevare per la prima volta in sede di legittimità questioni che non sono state oggetto dei motivi di appello, per evitare che la decisione di secondo grado venga annullata per un punto che non era stato sottoposto al suo esame.
Perché la Corte di Cassazione non ha riesaminato l’accertamento dell’elemento psicologico del reato?
La Corte non ha riesaminato questo punto perché lo ha considerato una “doglianza in fatto”. Il compito della Cassazione è verificare la corretta applicazione della legge (giudizio di legittimità), non ricostruire i fatti o valutare diversamente le prove, compito che spetta ai giudici di merito (Tribunale e Corte d’Appello).
Quali sono le conseguenze di un ricorso in Cassazione inammissibile?
Come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale, la dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27271 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27271 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 26/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FOGGIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/01/2023 della CORTE APPELLO di POTENZA
dato avviso alle parti;
svolta la relazione dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
Rilevato che il difensore di COGNOME NOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Potenza che ha confermato quella del Tribunale cittadino di condanna per il reato di cui all’art. 95 d. P. R. 115/2002;
ritenuto che il ricorso è inammissibile, ai sensi dell’art. 606, comma 3, ultima parte, cod. proc. pen., avendo la difesa dedotto, con i primi due motivi di ricorso (la numerazione difettando, peraltro, di conseguenzialità), questioni inerenti alla dosimetria della pena, che non hanno costituito oggetto dei motivi di appello, tale dovendosi intendere anche la generica prospettazione nei motivi di gravame di una censura solo successivamente illustrata in termini specifici con la proposizione del ricorso in cassazione (sez. 2, n. 34044 del 20/11/2020, Tocco, Rv. 280306-01; n. 26721 del 26/4/2023, Bevi/acqua, Rv. 28476802), onde evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il provvedimento impugnato con riferimento a punto della decisione sul quale si configura “a priori” un inevitabile difetto di motivazione per essere stato intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello (sez. 2, n. 29707 del 8/3/2017, Ga/di, Rv. 270316-01);
ritenuto che il terzo motivo di ricorso (mancato accertamento dell’elemento psicologico del reato) non é consentito nel giudizio di legittimità, siccome costituito da doglianze in fatto e non scandite da necessaria analisi critica delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata (sul contenuto essenziale dell’atto di impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione), avendo la Corte distrettuale dato conto della infondatezza della ricostruzione difensiva, con un ragionamento che, siccome scevro da profili di manifesta illogicità o contraddittorietà, deve ritenersi estraneo al vaglio di legittimità essendosi la difesa limitata a opporre la sua diversa valutazione, proponendola a questo giudice come più corretta;
rilevato che alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero (Corte cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore dell GLYPH assa delle ammende.
Deciso il 26 giugno 2024
La Consigliera est.
GLYPH
NOME COGNOME
GLYPH