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Ricorso in cassazione: i limiti dopo il concordato

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso in cassazione proposto contro una sentenza di concordato in appello. Il ricorso era basato sulla mancata applicazione di una pena sostitutiva non prevista dall’accordo. La Corte ha ribadito che l’impugnazione è consentita solo per vizi relativi alla formazione dell’accordo stesso, non per elementi estranei ad esso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso in Cassazione: i Limiti dopo il Concordato in Appello

Il ricorso in cassazione rappresenta l’ultimo grado di giudizio nel nostro ordinamento, ma il suo accesso è soggetto a regole precise, specialmente quando si contesta una sentenza frutto di un accordo tra le parti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce i confini di ammissibilità di tale ricorso avverso una sentenza emessa a seguito di ‘concordato in appello’, come previsto dall’art. 599-bis del codice di procedura penale.

Il Fatto: la Richiesta di una Pena Sostitutiva non Concordata

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato contro una sentenza della Corte d’Appello che aveva recepito un accordo sulla pena. L’imputato, pur avendo concordato la sanzione, ha successivamente lamentato in Cassazione la mancata applicazione di una pena sostitutiva, una questione che, tuttavia, non era mai entrata a far parte dell’accordo siglato con la Procura Generale.

Il ricorrente, in sostanza, chiedeva alla Suprema Corte di modificare la decisione di secondo grado introducendo un beneficio non previsto né richiesto durante la negoziazione della pena in appello.

La Decisione della Corte: i Confini del Ricorso in Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. I giudici hanno ribadito un principio consolidato: il ricorso in cassazione contro una sentenza di ‘patteggiamento in appello’ è un rimedio eccezionale. È ammesso solo in casi tassativi, che riguardano la corretta formazione del consenso tra le parti.

Nello specifico, è possibile ricorrere solo se si lamentano:

1. Vizi nella formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Difetti nel consenso prestato dal pubblico ministero.
3. Un contenuto della sentenza del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Qualsiasi altra doglianza, specialmente se relativa a elementi estranei al patto, come la mancata applicazione di una pena sostitutiva non richiesta, esula dall’ambito di controllo della Cassazione e rende il ricorso inammissibile.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando la natura stessa del concordato in appello. Si tratta di un istituto che si fonda sulla volontà negoziale delle parti, che cristallizzano in un accordo l’esito del processo di secondo grado. Consentire un ricorso in cassazione per motivi non legati a vizi genetici di tale accordo significherebbe snaturare l’istituto e permettere un riesame del merito mascherato da impugnazione di legittimità.

I giudici hanno sottolineato che il ricorrente lamentava la mancata applicazione di un beneficio (la pena sostitutiva) che era rimasto estraneo all’accordo. Di conseguenza, non si poteva procedere d’ufficio alla sostituzione della pena concordata, poiché ciò avrebbe violato i termini del patto stesso. La Corte ha quindi proceduto con rito semplificato, senza udienza partecipata, data la manifesta infondatezza del ricorso.

Le Conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. In primo luogo, conferma che la scelta di accedere a un concordato in appello deve essere ponderata, poiché limita significativamente le successive possibilità di impugnazione. In secondo luogo, chiarisce che tutti gli elementi ritenuti rilevanti, inclusa l’eventuale richiesta di pene sostitutive, devono essere negoziati e inseriti nell’accordo, altrimenti non potranno essere fatti valere in un successivo ricorso in cassazione. La decisione si conclude, come previsto dall’art. 616 c.p.p. per i casi di inammissibilità, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende.

È sempre possibile presentare ricorso in cassazione contro una sentenza emessa a seguito di concordato in appello?
No, non è sempre possibile. Il ricorso è ammesso solo per motivi specifici che riguardano vizi nella formazione della volontà della parte, nel consenso del pubblico ministero, o nel caso in cui la sentenza del giudice sia difforme rispetto all’accordo raggiunto.

Si può chiedere in Cassazione l’applicazione di una pena sostitutiva non prevista nel concordato in appello?
No. La Corte ha stabilito che le doglianze relative a benefici non inclusi nell’accordo, come una pena sostitutiva, sono inammissibili. Il giudice non può procedere d’ufficio a modificare una sanzione già concordata tra le parti.

Quali sono le conseguenze di un ricorso in cassazione dichiarato inammissibile in questi casi?
Quando un ricorso contro una sentenza di concordato viene dichiarato inammissibile, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma in denaro (nel caso di specie, tremila euro) in favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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