Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44294 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44294 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 06/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato il 14/04/1991
avverso l’ordinanza del 23/08/2023 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 23 agosto 2024 il Tribunale del riesame di Roma, in funzione di giudice dell’appello cautelare, ha respinto l’istanza di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere disposta dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma il 31 gennaio 2024, e confermata dal Tribunale del riesame il 21 febbraio 2024, nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di porto in luogo pubblico di arma comune da sparo.
Il Tribunale ha evidenziato preliminarmente che gli elementi di novità inseriti nell’istanza, consistevano nella fissazione dell’udienza per la discussione del giudizio abbreviato e nella durata del periodo di sottoposizione alla misura, ma che il mero ricorso del tempo di per sé non era idoneo, in assenza di ulteriori elementi sintomatici a determinare l’affievolimento delle esigenze cautelari, mentre
l’emissione del decreto di giudizio immediato con richiesta di definizione in rito abbreviato che, secondo la difesa, incideva sul pericolo di inquinamento probatorio non era pertinente al caso in esame, in cui la misura era stata applicata per il pericolo di fuga e per quello di reiterazione reato, e non per il pericolo di inquinamento probatorio.
Sia il pericolo di fuga che quello di reiterazione continuerebbero a sussistere, secondo il Tribunale, perché l’indagato è in carcere per aver esploso dei colpi di arma da fuoco all’indirizzo di una persona ferendola alle gambe – fatto per cui si procede separatamente – il che ne dimostrerebbe indole violenta e non comune spregiudicatezza, confermate, peraltro, dai precedenti penali; il pericolo di fuga è stato ritenuto esistere perché dopo il fatto l’indagato si era reso irreperibile ed il rintraccio era stato possibile solo grazie all’attività investigativa.
Il Tribunale ha concluso nel senso che misure non custodiali lascerebbero un’ampia libertà di movimento all’indagato, che non consentirebbe un efficace controllo dello stesso, posto che nessuna efficacia dissuasiva hanno sortito le precedenti condanne, e che non è possibile fare affidamento sulle capacità autocustodiali del soggetto, che peraltro non indica alcun domicilio idoneo.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l’indagato, per il tramite del difensore, con unico motivo in cui deduce il vizio di motivazione ripercorrendo la vicenda cautelare e sostenendo che il Tribunale ha errato quando ha sottolineato che a carico dell’indagato si procede separatamente per tentato omicidio quando in realtà il g.i.p. ha respinto la richiesta di misura per il tentato omicidio ravvisando nell’azione il reato di lesioni, ha errato quando non ha valutato il lungo periodo di tempo trascorso dall’ultimo precedente penale, che, peraltro, è un reato non omogeneo, e ha valutato come pericolo di fuga la circostanza che l’indagato non sia stato trovato nella casa in cui viveva, perché è stato comunque trovato dalla sua ragazza; non è vero che il domicilio non fosse idoneo perché lo stesso Tribunale aveva ricordato l’esistenza di un domicilio presso la residenza dei genitori sicuramente idoneo, ed non ha valutato inoltre la possibilità di disporre gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso non è conferente con il provvedimento impugnato, che è una ordinanza che ha deciso sull’appello cautelare ex art. 310 cod. proc. pen. contro l’ordinanza del g.i.p. ex art. 299 cod. proc. pen. che aveva valutato i due elementi di novità introdotti in essa dal ricorrente, ovvero la intervenuta richiesta di giudizio abbreviato ed il periodo di tempo decorso dall’applicazione della misura. L’ordinanza impugnata ha spiegato, con gli argomenti che sono stati riportati sinteticamente sopra, perché ha ritenuto che tali elementi di novità non incidessero sulla valutazione, già effettuata in sede di applicazione della misura, delle esigenze cautelari e sulla proporzionalità ed adeguatezza della misura applicata.
Il ricorso non si confronta con la motivazione dell’ordinanza su tali punti, ma pretende di ridiscutere l’esistenza in sé del pericolo di fuga e la correttezza della valutazione originaria in ordine al pericolo di reiterazione di reati della stessa specie.
Il ricorso incorre, pertanto, in questo modo nel vizio di aspecificità dei motivi di ricorso, perché non si confronta con il percorso logico del provvedimento impugnato (Sez. 2, Sentenza n. 17281 del 08/01/2019, COGNOME, Rv. 276916, nonché, in motivazione, Sez. U, Sentenza n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823).
I motivi di ricorso per cassazione, infatti, sono inammissibili quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni, di fatto o di diritto, poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, COGNOME, Rv. 255568). Le ragioni di tale necessaria correlazione tra la decisione censurata e l’atto di impugnazione risiedono nella circostanza che quest’ultimo non può ignorare le ragioni del provvedimento censurato (così in motivazione Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, COGNOME, Rv. 268822) in quanto la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce che si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il ricorso è, pertanto, inammissibile.
2. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 6 novembre 2024.