Ricorso per Detenzione Inumana: Quando la Cassazione lo Dichiara Inammissibile
L’ordinanza n. 12112/2024 della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sui limiti del ricorso per detenzione inumana. La Suprema Corte ha chiarito che l’appello basato sulla riproposizione di argomenti già esaminati e volto a ottenere una nuova valutazione dei fatti è destinato all’inammissibilità. Analizziamo insieme questa decisione per comprenderne la portata e le implicazioni pratiche.
I Fatti del Caso
Un detenuto presentava un reclamo al Tribunale di Sorveglianza avverso una decisione del Magistrato di Sorveglianza. Quest’ultimo aveva parzialmente accolto la sua istanza per le condizioni di detenzione subite, ma l’aveva respinta per i periodi trascorsi in due specifici istituti penitenziari. In particolare, il detenuto lamentava le condizioni patite in una delle strutture, dove lo spazio personale a sua disposizione era di soli 3,04 metri quadrati, una superficie inferiore alla soglia minima stabilita dalla giurisprudenza europea.
Contro la decisione del Tribunale di Sorveglianza, che aveva rigettato il suo reclamo, il detenuto proponeva ricorso alla Corte di Cassazione, denunciando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Sosteneva che il Tribunale non avesse adeguatamente considerato le sue argomentazioni sulle precarie condizioni detentive.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del giudizio di legittimità: la Corte non è un terzo grado di giudizio nel merito, ma un organo che valuta la corretta applicazione della legge.
I limiti del ricorso per detenzione inumana in Cassazione
Il punto centrale della pronuncia risiede nell’interpretazione dell’art. 35-bis, comma 4-bis, dell’ordinamento penitenziario. Questa norma stabilisce che contro le decisioni del Tribunale di Sorveglianza in materia di reclami per condizioni detentive è ammesso ricorso in Cassazione solo per violazione di legge.
Questo significa che il ricorrente non può chiedere alla Suprema Corte di riesaminare le prove o di sostituire la propria valutazione dei fatti a quella del giudice di merito. Può solo lamentare che sia stata applicata una norma sbagliata o interpretata una norma in modo scorretto.
La mera reiterazione dei motivi non integra una violazione di legge
Nel caso specifico, la Corte ha osservato che le lamentele del detenuto (le doglianze) erano una semplice ripetizione di quanto già esposto e discusso davanti al Tribunale di Sorveglianza. Il ricorso, di fatto, non indicava una specifica violazione di legge, ma sollecitava una “diversa e alternativa lettura degli elementi acquisiti”. Il Tribunale, secondo la Cassazione, aveva già correttamente e adeguatamente valutato tutti gli elementi, inclusi i potenziali “fattori compensativi” che possono mitigare gli effetti del sovraffollamento, giungendo a una conclusione motivata.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione di inammissibilità sulla base di due pilastri fondamentali. In primo luogo, ha evidenziato che le argomentazioni presentate nel ricorso costituivano una “mera reiterazione” di quelle già avanzate e respinte dal Tribunale di Sorveglianza. Un ricorso in Cassazione deve presentare nuove questioni di diritto o specificare in che modo il giudice di merito abbia violato la legge, non può limitarsi a ripetere le stesse argomentazioni fattuali. In secondo luogo, e in stretta connessione con il primo punto, la Corte ha ribadito che il ricorso ex art. 35-bis, comma 4-bis, ord. pen. è un rimedio a critica vincolata, ammesso unicamente per “violazione di legge”. La richiesta del ricorrente di rivalutare le condizioni detentive, come lo spazio disponibile in cella, e di riconsiderare i fattori compensativi, si traduce in una richiesta di riesame del merito, preclusa in sede di legittimità. Il Tribunale di Sorveglianza aveva già esercitato il suo potere di valutazione dei fatti, e la sua conclusione, adeguatamente motivata, non era sindacabile dalla Cassazione sotto il profilo del vizio di motivazione.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame conferma un orientamento consolidato: chi intende presentare un ricorso per detenzione inumana in Cassazione deve concentrarsi esclusivamente su questioni di pura legalità. È inutile e controproducente riproporre le stesse argomentazioni fattuali già vagliate dal Tribunale di Sorveglianza. La conseguenza dell’inammissibilità non è solo il rigetto della domanda, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria (in questo caso, 3.000 euro) a favore della cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito: il ricorso alla Suprema Corte deve essere ponderato e fondato su solidi e specifici motivi di diritto, evitando di trasformarlo in un tentativo di ottenere un terzo grado di giudizio sul merito della vicenda.
È possibile presentare un ricorso per detenzione inumana alla Corte di Cassazione lamentando una valutazione errata dei fatti da parte del Tribunale di Sorveglianza?
No, l’ordinanza chiarisce che il ricorso in Cassazione avverso i provvedimenti del Tribunale di Sorveglianza in questa materia è ammesso solo per violazione di legge, non per una diversa valutazione degli elementi di fatto già esaminati dal giudice di merito.
Cosa succede se i motivi del ricorso in Cassazione sono una semplice ripetizione di quelli già presentati al giudice precedente?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. La Corte ha specificato che la mera reiterazione di doglianze già valutate non costituisce un valido motivo di ricorso, in quanto non configura una violazione di legge ma una richiesta di riesame del merito.
Quali sono le conseguenze di un ricorso dichiarato inammissibile in questo contesto?
La parte che ha proposto il ricorso viene condannata al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, in questo caso tremila euro, in favore della cassa delle ammende, a causa della colpa nella determinazione della causa di inammissibilità.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12112 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12112 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a FIRENZE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/11/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
s’N.N
Rilevato che, con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Sorveglianza di Firenze ha rigettato il reclamo proposto da COGNOME NOME avverso il provvedimento con il quale il Magistrato di Sorveglianza di Firenze ha accolto l’istanza presentata ex art. 35 ter ord. pen. dal condannato in relazione ad alcuni periodi di detenzione e ha respinto la medesima richiesta in relazione ai periodi di detenzione subiti a San Gimignano e a Sollicciano;
Rilevato che in un articolato motivo di ricorso e nella memoria pervenuta il 15/02/2024 si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione con riferimento agli argomenti posti dal giudice della sorveglianza, evidenziando in specifico che il Tribunale non avrebbe adeguatamente valutato le condizioni di detenzione patite dal condannato quanto al periodo trascorso a Sollicciano con uno spazio disponibile di soli 3,04 mq;
Rilevato che le doglianze sollevate nel ricorso, sebbene qualificate come violazioni di legge, costituiscono mera reiterazione di quanto già dedotto avanti al Tribunale di sorveglianza e sono tese a sollecitare una diversa e alternativa lettura degli elementi acquisiti e già correttamente e adeguatamente valutati dal giudice della sorveglianza che, nella motivazione, ha fatto specifico riferimento ai fattori compensativi sui quali ha fondato la conclusione cui è pervenuto;
Rilevato quindi che il ricorso non è pertanto consentito in quanto ai sensi dell’art. 35 bis, comma 4 bis, ord. pen. averso il provvedimento del Tribunale di sorveglianza è ammesso ricorso solo per violazione di legge;
Considerato che alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto del ricorso e in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al versamento della somma, ritenuta congrua, di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 7/3/2024