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Ricorso concordato in appello: quando è inammissibile

Un imputato, dopo aver patteggiato la pena in appello per rapina, resistenza e ricettazione, ha presentato ricorso in Cassazione lamentando l’illogicità della motivazione sulla determinazione della pena. La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso concordato in appello inammissibile, ribadendo che l’impugnazione di una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. è consentita solo per vizi specifici (come quelli relativi alla volontà delle parti) e non per contestare la congruità della sanzione concordata, considerata una doglianza rinunciata.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Ricorso Concordato in Appello: i Rigidi Limiti all’Impugnazione

L’istituto del ricorso concordato in appello, noto anche come ‘patteggiamento in appello’, rappresenta uno strumento deflattivo del processo penale, ma quali sono i limiti alla sua successiva contestazione? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce che, una volta raggiunto l’accordo sulla pena, le possibilità di impugnazione si restringono drasticamente, escludendo doglianze sulla logicità della sanzione pattuita.

I Fatti di Causa

Il caso analizzato trae origine dalla decisione della Corte di appello di Napoli. In quella sede, accogliendo una richiesta congiunta delle parti ai sensi dell’art. 599-bis del codice di procedura penale, veniva parzialmente riformata una sentenza di primo grado. La Corte rideterminava la pena inflitta a un imputato per i reati di rapina, resistenza a pubblico ufficiale e ricettazione.

Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione. Il motivo del contendere era l’asserita illogicità della motivazione con cui la Corte d’appello aveva calcolato la pena finale, in particolare per quanto riguarda gli aumenti applicati a titolo di continuazione tra i vari reati.

Il Ricorso Concordato in Appello e i Motivi di Impugnazione

Il concordato in appello è un accordo tra accusa e difesa che, se accolto dal giudice, porta a una rapida definizione del processo di secondo grado con una pena concordata. La natura stessa di questo istituto implica una rinuncia delle parti a contestare nel merito la decisione.

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha richiamato un consolidato orientamento giurisprudenziale, cementato da una pronuncia delle Sezioni Unite. Secondo tale principio, l’impugnazione di una sentenza emessa a seguito di un concordato è possibile solo per un numero molto limitato di motivi. Essi includono:

1. Vizi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato.
2. Problemi inerenti al consenso del pubblico ministero sulla richiesta.
3. Un contenuto della pronuncia del giudice difforme rispetto all’accordo raggiunto.
4. L’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza.

Qualsiasi altro motivo è, di regola, inammissibile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile poiché fondato su ‘motivi non consentiti’. La doglianza dell’imputato, relativa alla presunta illogicità nella determinazione della pena e degli aumenti per la continuazione, non rientra in nessuna delle categorie ammesse. Si tratta, infatti, di una critica alla congruità e alla logica della sanzione, aspetti sui quali l’imputato ha implicitamente rinunciato a muovere obiezioni nel momento in cui ha aderito all’accordo con la pubblica accusa.

Gli Ermellini hanno specificato che sono inammissibili tutte le censure relative a:
– Motivi di appello a cui si è rinunciato con l’accordo.
– Mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento (ex art. 129 c.p.p.).
– Applicazione o diniego di circostanze attenuanti o aggravanti.
– Vizi della determinazione della pena che non si traducano in una ‘illegalità’ della sanzione (ad esempio, una pena fuori dai limiti edittali o di specie diversa da quella prevista dalla legge).

Poiché la contestazione dell’imputato riguardava la logica del calcolo e non l’illegalità della pena, il suo ricorso è stato respinto in rito.

Le Conclusioni

La decisione in esame conferma la natura ‘tombale’ del concordato in appello. Chi sceglie questa via processuale deve essere consapevole che sta accettando la pena in cambio di una rapida definizione del giudizio, rinunciando di fatto a quasi ogni possibilità di successiva impugnazione. L’unica porta che resta aperta è quella per contestare vizi genetici dell’accordo o palesi illegalità della pena, ma non la sua opportunità o congruità.

Come conseguenza diretta dell’inammissibilità, e ravvisando una colpa nella proposizione del ricorso, la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende, un esito che sottolinea l’importanza di valutare attentamente i limiti di questo strumento processuale prima di adire la Suprema Corte.

È sempre possibile impugnare una sentenza emessa dopo un concordato in appello (art. 599-bis c.p.p.)?
No, il ricorso per cassazione avverso una sentenza di concordato in appello è ammissibile solo per un numero limitato di motivi specificamente previsti dalla legge e interpretati dalla giurisprudenza.

Quali sono i motivi ammissibili per un ricorso contro una sentenza di concordato in appello?
I motivi ammissibili riguardano vizi nella formazione della volontà della parte di accedere all’accordo, vizi nel consenso del pubblico ministero, una pronuncia del giudice difforme dall’accordo raggiunto, oppure l’omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza.

Contestare la logicità della pena è un motivo valido per impugnare una sentenza di concordato in appello?
No. Secondo la Corte di Cassazione, le doglianze relative alla determinazione della pena, come la sua presunta illogicità, sono inammissibili in quanto si considerano rinunciate con l’accettazione dell’accordo, a meno che la pena applicata non sia illegale (cioè diversa da quella prevista dalla legge o fuori dai limiti edittali).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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