Ricorso per Cassazione Personale: La Fine di un’Era dopo la Riforma Orlando
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio cruciale nella procedura penale: il ricorso per cassazione personale da parte dell’imputato o del condannato non è più ammissibile. Questa pronuncia offre l’occasione per analizzare gli effetti della Legge n. 103 del 2017, nota come Riforma Orlando, che ha modificato in modo sostanziale le regole per l’accesso al giudizio di legittimità.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato personalmente da un individuo contro un’ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia. Il ricorrente, nato nel 1997, ha sottoscritto e depositato il proprio atto di impugnazione in data 24 novembre 2023, agendo quindi senza l’assistenza di un difensore abilitato al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori.
La Corte di Cassazione, investita della questione, non è entrata nel merito delle doglianze sollevate, ma si è fermata a una valutazione preliminare di ammissibilità dell’atto, con un esito sfavorevole per il ricorrente.
La Decisione della Corte di Cassazione
Con l’ordinanza in esame, la Settima Sezione Penale ha dichiarato il ricorso inammissibile. La Corte ha inoltre condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende. La decisione è stata presa de plano, ossia senza la necessità di un’udienza di discussione, in applicazione dell’art. 610, comma 5-bis, del codice di procedura penale.
Le Motivazioni della Decisione: L’impatto della Riforma Orlando sul ricorso per cassazione personale
Il fulcro della motivazione risiede nell’applicazione della Legge 23 giugno 2017, n. 103 (la cosiddetta ‘Riforma Orlando’). La Corte osserva che sia il provvedimento impugnato sia il successivo ricorso sono posteriori al 4 agosto 2017, data di entrata in vigore della citata legge.
Questa riforma ha introdotto una modifica fondamentale, escludendo la facoltà per l’imputato (e quindi anche per il condannato) di proporre personalmente ricorso per cassazione. La nuova normativa, intervenendo sugli articoli 571 e 613 del codice di procedura penale, stabilisce che tale atto debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, esclusivamente da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale della Corte di Cassazione.
La Corte richiama a supporto anche un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (sentenza n. 8914 del 2018), che ha consolidato questa interpretazione, chiarendo che la nuova regola si applica a tutti i ricorsi proposti dopo l’entrata in vigore della legge, indipendentemente dalla data del provvedimento impugnato. Poiché il ricorso in esame è stato presentato personalmente dal condannato nel 2023, viola palesemente questo requisito formale, rendendolo irricevibile.
Conclusioni: Cosa Cambia per il Ricorrente
L’ordinanza conferma in modo netto che la via del ricorso per cassazione personale è definitivamente preclusa nel nostro ordinamento. Qualsiasi impugnazione presentata direttamente dall’interessato dinanzi alla Suprema Corte dopo il 4 agosto 2017 è destinata a una declaratoria di inammissibilità. Questa regola non ammette deroghe e ha lo scopo di garantire un elevato livello di tecnicismo giuridico nel giudizio di legittimità.
Le conseguenze pratiche per chi non rispetta questa norma sono severe: non solo il ricorso non viene esaminato nel merito, ma scatta anche l’automatica condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come nel caso di specie. È quindi imperativo, per chiunque intenda adire la Corte di Cassazione, affidarsi a un avvocato cassazionista, unico soggetto legittimato a redigere e sottoscrivere l’atto.
È ancora possibile per un condannato presentare personalmente un ricorso per cassazione?
No, per tutti i ricorsi proposti dopo il 4 agosto 2017 non è più possibile. La Legge n. 103 del 2017 ha eliminato questa facoltà, rendendo obbligatoria la sottoscrizione da parte di un avvocato iscritto all’albo speciale della Corte di cassazione.
Qual è la conseguenza se un ricorso per cassazione viene presentato personalmente dal condannato dopo l’entrata in vigore della nuova legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile ‘de plano’, ovvero senza una discussione nel merito. Questo avviene perché l’atto manca di un requisito formale essenziale richiesto dalla legge a pena di inammissibilità.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro alla cassa delle ammende. Nel caso specifico, tale somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19899 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19899 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 24/10/2023 del TRIB. SORVEGLIANZA di VENEZIA
dato avi g6 GLYPH parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso per cassazione in esame è stato proposto personalmente da NOME e sottoscritto il 24 novembre 2023.
Osserva il Collegio che sia la notifica del provvedimento impugnato sia il ricorso sono successivi al 4 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge 23 giugno 2017, n. 103, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato – e quindi anche del condannato – di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che tale atto deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen. (Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, Aiello, Rv. 271333 – 01).
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile, de plano, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge n. 103 del 2017.
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.