Ricorso Cassazione Patteggiamento: Quando è Ammesso?
Il patteggiamento, o applicazione della pena su richiesta, è uno strumento processuale che permette di definire il processo penale in modo rapido. Tuttavia, una volta raggiunta la sentenza, le possibilità di impugnazione sono molto ristrette. Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione offre un chiaro promemoria sui limiti del ricorso per cassazione patteggiamento, specificando quali motivi sono validi e quali portano a una declaratoria di inammissibilità.
Il Caso in Analisi
Nel caso di specie, un imputato aveva presentato ricorso in Cassazione contro una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale. Il ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 133 del codice penale, sostenendo che il giudice non avesse valutato correttamente la gravità del reato e la capacità a delinquere dell’imputato nel determinare la pena, anche se concordata.
I Limiti al Ricorso per Cassazione Patteggiamento
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su una norma specifica, l’articolo 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa disposizione, introdotta con la riforma del 2017, stabilisce che il ricorso per cassazione patteggiamento è consentito solo per un numero chiuso di motivi. Essi sono:
1. Vizi della volontà: quando il consenso dell’imputato al patteggiamento non è stato espresso liberamente e consapevolmente.
2. Difetto di correlazione: se c’è una discordanza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice nella sentenza.
3. Erronea qualificazione giuridica del fatto: nel caso in cui il reato sia stato classificato in modo giuridicamente sbagliato.
4. Illegalità della pena o della misura di sicurezza: quando la sanzione applicata è contraria alla legge (ad esempio, perché supera i limiti massimi previsti).
Qualsiasi altro motivo, inclusa la critica sulla congruità della pena pattuita, non è ammesso.
Le Motivazioni della Corte
I giudici della Cassazione hanno chiarito che le lamentele relative alla violazione dell’art. 133 c.p., che regola il potere discrezionale del giudice nella commisurazione della pena, sono ‘doglianze non consentite’ nel giudizio di legittimità avverso sentenze di patteggiamento. Questo tipo di critica attiene al merito della decisione, ovvero alla valutazione del ‘giusto’ ammontare della pena, un aspetto che, con l’accordo tra le parti, si intende sottratto a ulteriori contestazioni. Il ricorrente, non avendo sollevato alcuna delle questioni previste dalla legge, ha proposto un ricorso al di fuori del perimetro consentito, rendendolo inevitabilmente inammissibile.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la scelta del patteggiamento comporta una rinuncia a contestare l’entità della pena concordata. Le vie di impugnazione sono eccezionali e limitate a vizi procedurali o errori di diritto di particolare gravità. La decisione rafforza la stabilità delle sentenze di patteggiamento, evitando che possano essere rimesse in discussione per motivi legati alla discrezionalità del giudice. In pratica, chi accede a questo rito deve essere consapevole che le possibilità di un ‘ripensamento’ successivo sono quasi nulle. L’esito di un ricorso inammissibile, come in questo caso, è la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle Ammende.
È possibile impugnare in Cassazione una sentenza di patteggiamento se si ritiene la pena ingiusta?
No. La sentenza chiarisce che il disaccordo sulla congruità della pena (basato sull’art. 133 c.p.) non rientra tra i motivi tassativi per cui si può fare ricorso contro una sentenza di patteggiamento.
Quali sono gli unici motivi per cui si può fare ricorso per cassazione contro una sentenza di patteggiamento?
Secondo l’art. 448, comma 2-bis c.p.p., i motivi sono: problemi legati all’espressione della volontà dell’imputato, difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, erronea qualificazione giuridica del fatto, e illegalità della pena o della misura di sicurezza.
Cosa succede se si presenta un ricorso per cassazione per motivi non consentiti dalla legge?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Come stabilito in questo caso, ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro in favore della Cassa delle Ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1587 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1587 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a BARI il 20/07/2000
avverso la sentenza del 10/08/2024 del TRIBUNALE di BARI
40110-93~ , -6 1 44~44 -;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Il ricorso di Ponarosa Valentino avverso sentenza emessa ai sensi dell’art. 444 cpp (da trattarsi ai sensi dell’art. 610, comma 5-bis cod. proc. pen.) è inammissibile.
Deve invero rammentarsi che, secondo quanto previsto dall’art. 448, comma 2bis, cod. proc. pen. – disposizione introdotta con la legge 23 giugno 2017, n. 103 -, il pubblico ministero e l’imputato possono ricorrere per cassazione contro la sentenza di applicazione della pena su richiesta solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazione tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura sicurezza.
Nel caso in esame il ricorrente ha allegato la violazione dell’art. 133 cod.pen.
In definitiva, quindi, il ricorrente non ha posto a sostegno del suo ricorso alcuna della ipotesi per le quali è attualmente consentito il ricorso per cassazione avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta, non avendo sollevato questioni attinenti all’espressione della volontà dell’imputato stesso, al difetto di correlazion tra richiesta e sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegal della pena o della misura di sicurezza.
Si tratta di doglianze non consentite, nel giudizio di legittimità avverso sentenze di applicazione della pena su richiesta.
Rilevato che pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 06/12/2024
Il Consigl’ GLYPH estensore
Il Presidente