Il Ricorso per Cassazione e l’Obbligo di Firma dell’Avvocato: Un Caso di Inammissibilità
Presentare un ricorso alla Corte di Cassazione è una fase estremamente delicata del processo penale, governata da regole procedurali stringenti. Una di queste, fondamentale, riguarda la necessità di assistenza legale qualificata. L’ordinanza in esame chiarisce in modo inequivocabile le conseguenze della sua violazione, sottolineando l’importanza del ricorso per cassazione avvocato per la validità dell’atto. La vicenda analizzata offre uno spunto pratico per comprendere perché la legge imponga la firma di un difensore iscritto all’albo speciale dei cassazionisti.
I Fatti del Caso
Un soggetto, condannato in via definitiva, si era visto rigettare dal Tribunale di Sorveglianza l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale, una misura alternativa alla detenzione. Ritenendo ingiusta tale decisione, ha deciso di impugnarla proponendo personalmente, senza l’ausilio di un legale, ricorso alla Corte di Cassazione.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato il ricorso sotto un profilo puramente procedurale, senza entrare nel merito della richiesta di affidamento in prova. L’esito è stato netto: il ricorso è stato dichiarato inammissibile. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni: la Necessità del Ricorso per Cassazione Avvocato
La Corte ha basato la propria decisione su un principio consolidato, introdotto dalla Legge n. 103 del 2017 (nota come Riforma Orlando). Questa normativa ha modificato il Codice di procedura penale, stabilendo in modo esplicito che il ricorso per cassazione debba essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’apposito albo speciale. La data di entrata in vigore di questa legge, il 3 agosto 2017, funge da spartiacque: sia il provvedimento impugnato che il ricorso erano successivi a tale data, rendendo la nuova disciplina pienamente applicabile.
La ratio della norma è garantire che il giudizio di legittimità, caratterizzato da un elevato tecnicismo, sia supportato da una difesa competente e specializzata. La Corte ha richiamato anche un’importante pronuncia delle Sezioni Unite (n. 8914/2017), che aveva già confermato questa interpretazione, eliminando ogni dubbio sulla fine della facoltà dell’imputato o del condannato di presentare personalmente l’atto di impugnazione.
Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche
La decisione riafferma una regola procedurale inderogabile: chiunque intenda contestare un provvedimento davanti alla Corte di Cassazione in ambito penale deve obbligatoriamente rivolgersi a un avvocato cassazionista. Agire diversamente, presentando un ricorso ‘fai da te’, non solo è inutile ai fini della tutela dei propri diritti, ma comporta anche conseguenze economiche negative. La dichiarazione di inammissibilità, infatti, non solo rende definitiva la decisione impugnata, ma espone il ricorrente a una condanna al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie. Questo principio si applica a tutti i ricorsi, inclusi quelli provenienti dalla magistratura di sorveglianza.
È possibile per un condannato presentare personalmente un ricorso alla Corte di Cassazione?
No. A seguito della Legge n. 103 del 2017, entrata in vigore il 3 agosto 2017, il ricorso per cassazione deve essere obbligatoriamente sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione.
Cosa succede se un ricorso per cassazione viene presentato senza la firma di un avvocato cassazionista?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile. Ciò comporta che la Corte non esamina il merito della questione e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle ammende.
La regola che impone la firma dell’avvocato si applica anche ai ricorsi contro le decisioni del Tribunale di Sorveglianza?
Sì. La decisione in esame conferma che la regola si applica a tutti i ricorsi per cassazione in materia penale, inclusi quelli avverso le ordinanze del Tribunale di Sorveglianza, se proposti dopo il 3 agosto 2017.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 2530 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 2530 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a IGLESIAS il 20/10/1990
avverso l’ordinanza del 11/06/2024 del TRIB. SORVEGLIANZA di CAGLIARI
-ti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
NOME COGNOME ha proposto personalmente ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il Tribunale di sorveglianza di Cagliari ha rigettato l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale.
Sia il provvedimento impugnato sia il ricorso sono però successivi al 3 agosto 2017, data dell’entrata in vigore della legge n. 103 del 2017, con cui si è esclusa la facoltà dell’imputato, e quindi anche del condannato, di proporre personalmente ricorso per cassazione, prevedendosi che esso deve essere in ogni caso sottoscritto, a pena d’inammissibilità, da difensori iscritti nell’albo speciale della Corte d cassazione (artt. 571, comma 1, e 613, comma 1, cod. proc. pen.; Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272010).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato inammissibile, a norma dell’art. 610, comma 5-bis, cod. proc. pen., introdotto dalla medesima legge n. 103 del 2017.
Segue all’inammissibilità la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non potendo escludersi profili di colpa, anche alla sanzione in favore della cassa delle ammende (Corte cost. n. 186 del 2000) che si ritiene equo quantificare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2024.