Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 5893 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 5893 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata il DATA_NASCITA in ROMANIA
avverso l’ordinanza in data 28/06/2023 della CORTE DI APPELLO DI PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
RAGIONE_SOCIALE impugna l’ordinanza in data 28/06/2023 della Corte di appello di Palermo, che ha rigettato la richiesta di rescissione del giudicato presentata in relazione alla sentenza in data 20/10/2021 del Tribunale di Sciacca.
Deduce:
Inosservanza di norma processuale per violazione dell’art. 420-bis e quater cod. proc. pen..
La ricorrente sostiene che la sentenza del Tribunale di Sciacca è stata pronunciata senza che l’imputata ne fosse a conoscenza.
Con l’unico motivo d’impugnazione ripercorre i principi di diritto fissati in materia di procedimento in absentia e di rescissione del giudicato e segnala come la Corte di appello di Palermo, nei confronti della coimputata nel medesimo
procedimento (NOME), avesse dichiarato nulla la sentenza n. 475 del 20/10/2021 del Tribunale di Sciacca sulla base di considerazioni analoghe a quelle espresse in sede di istanza di rescissione del giudicato a favore di COGNOME NOME.
La ricorrente sostiene, dunque, che il provvedimento impugnato si pone in contrasto sia con i principi di diritto siccome richiamati, sia con la sentenza della Corte di appello ora menzionata, sia con l’ordinanza in data 26/08/2022 con cui la stessa Corte di appello di Palermo, “sul presupposto del verosimile accoglimento della domanda e della conseguente revoca della condanna, ha disposto sospendersi nei confronti di RAGIONE_SOCIALE l’esecuzione della pena inflittale con sentenza del Tribunale di Sciacca”.
Si rimarca come la mancata conoscenza del processo non sia colpevolmente attribuibile all’imputata né alla sua deliberata volontà di sottrarsi al processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché aspecifico.
1.1. La Corte di appello ha rigettato l’istanza di rescissione del giudicato disattendendo le deduzioni difensive, che denunciavano l’invalidità del decreto di latitanza e la non volontarietà della sottrazione alla custodia cautelare.
A tale proposito il tribunale: sotto il primo profilo, ha ritenuto la legittim del decreto di latitanza sulla base dell’iter seguito e di tutte le ricerche effettua (ultima abitazione nota e in Romania, Paese d’origine dell’imputata) prima della sua emissione. Con riguardo al secondo profilo, ha evidenziato (alle pagine 2 e 3) le circostanze di fatto dalle quali era evincibile che la donna avesse “precipitosamente” abbandonato l’abitazione per sottrarsi alle conseguenze giudiziarie scaturenti dalla denuncia per rapina sporta nei suoi confronti.
1.2. Ciò premesso, va evidenziato come il ricorso non si confronti con le argomentazioni spese dalla Corte di appello, che risultano del tutto obliterate. A ciò si aggiunga che l’unico motivo di ricorso si risolve in una eminentemente generica e apodittica asserzione di contrasto con i principi di diritto in materia di rescissione di giudicato oltre con altri provvedimenti che non possono essere ritenuti vincolanti per il giudice della decisione oggi impugnata.
1.3. Entrambi i rilievi portano alla configurazione del vizio di aspecificità, che configura non solo nel caso della indeterminatezza e genericità, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 comma 1 lett. c), all’inammissibilità (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, Rv. 268823; Sez. 2, Sentenza n. 11951 del 29/01/2014 Rv. 259425, Lavorato; Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, Burzotta, Rv. 230634;
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Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, Tasca, Rv. 237596).
2. L’evidenziato vizio di aspecificità è ancor di più evidente ove si rimarchi come il provvedimento impugnato sia -altresì- conforme ai principi di diritto fissati in mater di validità del decreto di latitanza.
Innanzitutto, la giurisprudenza delle Sezioni Unite ha precisato che, ai fini della dichiarazione di latitanza, tenuto conto delle differenze che non rendono compatibili tale condizione con quella della irreperibilità, le ricerche effettuate dalla pol giudiziaria ai sensi dell’art. 295 cod. proc. pen. – pur dovendo essere tali da risulta esaustive al duplice scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità procedere alla esecuzione della misura per il mancato rintraccio dell’imputato e la volontaria sottrazione di quest’ultimo alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti – non devono necessariamente comprendere quelle nei luoghi specificati dal codice di rito ai fini della dichiarazione di irreperibilità e, di conseguenza, neanche ricerche all’estero quando ricorrano le condizioni previste dall’art. 169, comma 4, dello stesso codice (così Sez. U, n. 18822 del 27/03/2014, Avram, Rv. 258792-01, nonché Sez. 5, n. 5583 del 28/10/2014, dep. 2015, T., Rv. 262227-01, e Sez. 6, n. 31285 del 23/03/2017, COGNOME, Rv. 270569-01).
Inoltre, secondo insegnamento costante, in tema di dichiarazione di latitanza, ai fini dell’accertamento della volontarietà della sottrazione al provvedimento restrittivo, non occorre dimostrare che l’interessato era a conoscenza dell’avvenuta emissione a suo carico di tale provvedimento essendo sufficiente che si sia posto in condizione di irreperibilità sapendo che un ordine o un mandato poteva essere emesso nei suoi confronti, evenienza che, una volta positivamente apprezzata con provvedimento del giudice, legittima l’esecuzione delle notificazioni mediante consegna al difensore (così, tra le tantissime, Sez. 2, n. 47852 del 23/09/2016, Rv. 268174-01, e Sez. 5, n. 19891 del 30/01/2014, A., Rv. 259839-01).
Ancora, secondo altra decisione, in tema di dichiarazione di latitanza, l’accertamento della volontarietà dell’imputato di sottrarsi alle ricerche, che costituis presupposto necessario del relativo decreto, può fondarsi anche su presunzioni, purchè le stesse risultino poggiate su una base fattuale idonea a dimostrare tale volontà, tenuto anche conto delle concrete abitudini di vita del ricercato (Sez. 3 – , Sentenza n. 10733 del 07/02/2023, Dervishi, Rv. 284315 – 01; Sez. 5, n. 54189 del 20/10/2016, COGNOME, Rv. 268827-01).
2.1.2. Nella specie, la sentenza impugnata -per come già evidenziato- indica gli elementi di fatto da cui inferisce che, al momento di emissione del provvedimento di latitanza, ricorrevano i presupposti per la sua corretta adozione, visto che le ricerche effettuate sono state ritenute esaustive in relazione allo scopo di consentire al giudice di valutare l’impossibilità di procedere alla esecuzione della misura per il mancato
rintraccio dell’imputato; in secondo luogo, poi, gli elementi acquisiti sono stati riten esaustivi anche in relazione al profilo concernente la volontaria sottrazione dell’imputato alla esecuzione della misura emessa nei suoi confronti.
Quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 05/12/2023
Il Consigliere est.
GLYPH Il Presidente