Ricorso 599-bis: i Limiti dell’Impugnazione in Cassazione
L’istituto del “concordato in appello”, disciplinato dall’articolo 599-bis del codice di procedura penale, rappresenta uno strumento deflattivo del contenzioso, consentendo alle parti di accordarsi sulla pena. Tuttavia, una volta raggiunto l’accordo e ratificato dal giudice, quali sono i margini per contestare tale decisione? Un’ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui motivi che rendono un ricorso 599-bis inammissibile, ribadendo la natura quasi definitiva dell’accordo. Approfondiamo questo caso pratico per capire meglio la portata della norma.
I Fatti del Caso
Un imputato, condannato in primo grado per il delitto di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) e per quattordici reati-fine di truffa, decideva di accedere, in secondo grado, al rito del concordato in appello. La Corte di appello di Venezia, accogliendo la richiesta formulata dalle parti ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., riformava parzialmente la sentenza e rideterminava la pena in due anni e sei mesi di reclusione.
Nonostante l’accordo raggiunto, l’imputato, tramite il proprio difensore, proponeva ricorso per cassazione avverso tale sentenza. Il motivo del ricorso si fondava sulla presunta violazione di legge e sul vizio di motivazione, lamentando in particolare la “mancata verifica delle risultanze processuali che rendono manifesta l’innocenza dell’imputato”. In sostanza, si contestava al giudice d’appello di non aver valutato la possibilità di un proscioglimento nel merito ai sensi dell’art. 129 c.p.p.
Il Ricorso 599-bis e la Decisione della Cassazione
La Suprema Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso totalmente inammissibile. La decisione si fonda su un principio consolidato, recentemente ribadito anche dalle Sezioni Unite: l’accesso al concordato in appello comporta una rinuncia a far valere la maggior parte delle doglianze.
Il ricorso 599-bis avverso una sentenza di patteggiamento in appello è ammesso solo in casi eccezionali e tassativamente previsti. Non è possibile, quindi, utilizzare questo strumento per rimettere in discussione il merito della vicenda processuale, come la valutazione delle prove o la sussistenza di cause di non punibilità, che si presumono valutate e superate con l’accordo stesso.
Le Motivazioni della Suprema Corte
La Corte ha chiarito in modo inequivocabile i confini dell’impugnazione. I giudici hanno specificato che il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa ex art. 599-bis c.p.p. è ammissibile esclusivamente per i seguenti motivi:
1.  Vizi della volontà: quando il consenso dell’imputato all’accordo non si è formato correttamente.
2.  Mancato consenso del pubblico ministero: se l’accordo è stato raggiunto senza il necessario assenso dell’accusa.
3.  Contenuto difforme della pronuncia: nel caso in cui la sentenza del giudice si discosti da quanto pattuito tra le parti.
4.  Omessa dichiarazione di prescrizione: qualora il reato fosse già prescritto prima della pronuncia della sentenza, come statuito dalle Sezioni Unite (sent. n. 19415/2023).
Sono, invece, inammissibili tutte le doglianze relative a motivi rinunciati con l’accordo, come la mancata valutazione delle condizioni per il proscioglimento ex art. 129 c.p.p. o i vizi sulla determinazione della pena (a meno che questa non sia illegale o di specie diversa da quella prevista dalla legge).
Nel caso specifico, la richiesta di una “verifica delle risultanze processuali” rientra pienamente tra i motivi di merito a cui l’imputato ha rinunciato accedendo al concordato. Inoltre, la Corte ha definito il motivo di ricorso come “del tutto generico”, poiché non indicava neppure quale specifica causa di proscioglimento sarebbe stata ravvisabile.
Conclusioni e Implicazioni Pratiche
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: la scelta di definire il processo con un concordato in appello è una decisione che preclude quasi ogni possibilità di successiva impugnazione nel merito. L’imputato che accetta di patteggiare la pena rinuncia implicitamente a far valere eventuali vizi della sentenza di primo grado o a sollevare questioni sulla propria innocenza. La pronuncia della Cassazione ha quindi una duplice valenza: da un lato, rafforza l’efficacia deflattiva dell’istituto del concordato in appello, garantendo la stabilità delle decisioni; dall’altro, serve come monito per le parti processuali, che devono ponderare attentamente la scelta di accedere a tale rito, consapevoli delle limitate vie di ricorso successive. La condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende sottolinea ulteriormente l’inammissibilità di ricorsi basati su motivi non consentiti dalla legge.
 
Che cos’è il concordato in appello previsto dall’art. 599-bis c.p.p.?
È un accordo tra l’imputato e il pubblico ministero, raggiunto durante il processo di appello, per determinare l’entità della pena. Se il giudice accoglie l’accordo, emette una sentenza che recepisce quanto pattuito, spesso comportando una riduzione della pena rispetto alla condanna di primo grado.
Per quali motivi si può fare ricorso in Cassazione contro una sentenza di concordato in appello?
Il ricorso è ammesso solo per motivi molto specifici: vizi nella formazione della volontà di aderire all’accordo, mancanza del consenso del pubblico ministero, difformità tra la pena pattuita e quella decisa dal giudice, oppure per l’omessa dichiarazione di una causa di estinzione del reato (come la prescrizione) maturata prima della sentenza.
Perché il ricorso dell’imputato è stato dichiarato inammissibile in questo caso?
È stato dichiarato inammissibile perché si basava su un motivo non consentito dalla legge. L’imputato lamentava la mancata valutazione delle prove che avrebbero potuto dimostrare la sua innocenza, ma con l’adesione al concordato aveva implicitamente rinunciato a sollevare questioni di merito, accettando la determinazione della pena.
 
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 4801 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 2   Num. 4801  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME COGNOME NOME
Data Udienza: 15/01/2024
ORDINANZA
NOME
sul ricorso proposto da: RAGIONE_SOCIALE
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/07/2023 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
 Con sentenza del 3 luglio 2023 la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della decisione del primo giudice, accoglieva la richiesta formulata dalle parti ex art. 599-bis cod. proc. pen. e rideterminava in due anni e sei mesi di reclusione la pena inflitta in primo grado a NOME COGNOME per il delitto ex art. 416, primo comma, cod. pen. e per quattrodici reati-fine di truffa.
Ha proposto ricorso l’imputato, a mezzo del proprio difensore, chiedendo l’annullamento della sentenza per violazione di legge e vizio di motivazione per la
mancata “verifica delle risultanze processuali che rendono manifesta l’innocenza dell’imputato”.
 Il ricorso è inammissibile perché proposto con un motivo non consentito.
Il ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. è ammissibile solo quando deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta e al contenuto difforme della pronuncia del giudice ovvero – come da ultimo statuito dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 19415 del 27/10/2022, dep. 2023, Fazio, Rv. 284481) – alla omessa dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione maturata anteriormente alla pronuncia di tale sentenza.
Sono inammissibili, invece, le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e ai vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante nei limiti edi ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170; Sez. 2, n. 22002 del 10/04/2019, COGNOME, Rv. 276102; Sez. 2, n. 30990 del 01/06/2018, Gueli, Rv. 272969).
Il motivo, peraltro, è anche del tutto generico in quanto neppure indica quale sarebbe la causa di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. ravvisabile nel caso di specie.
Alla inammissibilità dell’impugnazione proposta segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 15/01/2024.