Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20023 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20023 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CAGLIARI il 11/11/1979
avverso la sentenza del 20/11/2024 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso dell’Avv. NOME COGNOME udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto P.G. NOME COGNOME
Ricorso trattato in camera di consiglio senza la presenza delle parti, in mancanza di richiesta di trattazione orale pervenuta nei termini, secondo quanto disposto dagli articoli 610 co. 5 e 611 co. 1 bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOMECOGNOME a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza in data 20/11/2024 della Corte di appello di Cagliari che, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., ha rideterminato la pena inflitta all’imputato nella misura di anni tre mesi dieci di reclusione ed euro mille di multa, in ordine a diversi delitti contro il patrimonio di cui alla rubrica, confermando nel reso la sentenza di primo grado.
La difesa affida il ricorso a due motivi.
2.1. Con il primo motivo deduce il vizio di motivazione in ordine alla determinazione della pena.
2.2. Con il secondo motivo denuncia l’illegalità della pena con riguardo alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici – da ritenersi stabilita nell misura di anni cinque avendo sul punto la sentenza impugnata richiamato quella del Tribunale di Cagliari – che la Corte d’appello avrebbe dovuto annullare o ridurre alla durata della pena inflitta.
Il P.G. presso questa Corte, con requisitoria del 25 marzo 2025, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Il primo motivo, con il quale si denunciano vizi di motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio, non è consentito in sede di legittimità alla luce del principio affermato da questa Corte secondo cui è ammissibile il ricorso in cassazione avverso la sentenza emessa ex art. 599-bis cod. proc. pen. che deduca motivi relativi alla formazione della volontà della parte di accedere al concordato, al consenso del pubblico ministero sulla richiesta ed al contenuto difforme della pronuncia del giudice, mentre sono inammissibili le doglianze relative a motivi rinunciati, alla mancata valutazione delle condizioni di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. e, altresì, a vizi attinenti alla determinazione della pena che non si siano trasfusi nella illegalità della sanzione inflitta, in quanto non rientrante ne limiti edittali ovvero diversa da quella prevista dalla legge (Sez. 1, n. 944 del 23/10/2019, dep. 2020, M., Rv. 278170 – 01).
Il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia l’erronea applicazione della legge penale con riferimento alla durata della pena accessoria, conseguente alla intervenuta riduzione della pena detentiva, con applicazione di una pena illegale, è manifestamente infondato.
Lo stesso ricorrente afferma che in primo grado l’imputato era stato condannato all’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. In
appello lo stesso è stato condannato alla pena detentiva di anni tre e mesi dieci di reclusione, muovendo da una pena base di anni cinque per il reato più grave.
Orbene, l’art. 29, comma 1, cod. pen., stabilisce che la condanna alla reclusione per un tempo non inferiore a tre anni importa l’interdizione di pubblici uffici per la
durata di anni cinque.
Correttamente, pertanto, la Corte di appello ha confermato sul punto la sentenza di primo grado, sicché non sussiste alcuna violazione di legge dalla quale
è derivata l’applicazione di una pena illegale.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila a favore della Cassa delle ammende, in ragione di profili di
inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, 1’11 aprile 2025.