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Riconoscimento vocale: la Cassazione conferma validità

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per estorsione. La sentenza conferma che il riconoscimento vocale effettuato in aula da un operatore di polizia è una prova testimoniale pienamente valida, senza la necessità di seguire le procedure formali della ricognizione di voci o di disporre una perizia fonica. La credibilità del teste è l’elemento chiave per la valutazione del giudice.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riconoscimento Vocale in Processo: Vale la Parola del Teste?

Il riconoscimento vocale di un imputato da parte di un operatore di polizia durante un’intercettazione telefonica è un tema delicato nel processo penale. È sufficiente la dichiarazione del testimone per attribuire con certezza una voce, o sono necessarie procedure formali e perizie tecniche? Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio consolidato, chiarendo la natura e la validità di questo importante strumento probatorio.

I Fatti del Caso: Dall’Estorsione al Ricorso in Cassazione

Il caso trae origine da una condanna per il reato di estorsione. La Corte di Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato un uomo alla pena di 3 anni e 4 mesi di reclusione. La condanna si basava su diverse prove, tra cui una conversazione intercettata ritenuta cruciale.

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali:

1. Nullità del verbale di trascrizione: Si contestava la validità del verbale di trascrizione dell’intercettazione, poiché l’agente che in dibattimento aveva riconosciuto la voce dell’imputato non figurava tra i firmatari del verbale stesso.
2. Inutilizzabilità del riconoscimento vocale: Si sosteneva che l’identificazione della voce, avvenuta durante la testimonianza dell’agente, fosse inutilizzabile. Secondo la difesa, si sarebbe dovuta seguire la procedura formale della ‘ricognizione di voci’ prevista dall’art. 216 del codice di procedura penale. Inoltre, si dubitava dell’attendibilità dell’agente, che non sentiva l’imputato da oltre quattro anni.

Il Valore del Riconoscimento Vocale nella Testimonianza

La Corte di Cassazione ha respinto entrambi i motivi, dichiarando il ricorso inammissibile. La sentenza offre importanti chiarimenti sulla distinzione tra la testimonianza e gli atti formali di ricognizione, confermando la piena legittimità dell’identificazione vocale avvenuta in dibattimento.

Distinzione tra Testimonianza e Ricognizione Formale

Il punto centrale della decisione è che l’identificazione di una voce effettuata da un testimone (in questo caso, un agente di polizia giudiziaria) durante la sua deposizione non è un atto di ‘ricognizione’ in senso tecnico. Non deve, quindi, sottostare alle formalità previste dagli articoli 213 e seguenti del codice di procedura penale.

Si tratta, invece, di una parte integrante della testimonianza stessa. La sua affidabilità e valenza probatoria dipendono interamente dall’attendibilità del teste, la quale viene valutata dal giudice sulla base di un prudente apprezzamento e di una solida motivazione. In questo caso, i giudici di merito avevano ritenuto credibile la dichiarazione dell’agente, il quale aveva affermato di ‘conoscere perfettamente la voce’ dell’imputato per averci parlato più volte per ragioni di servizio.

Validità della Trascrizione e delle Attività di Polizia

La Corte ha anche chiarito che non vi era alcuna nullità nel verbale di trascrizione. L’attività di ascolto e trascrizione era stata regolarmente svolta e verbalizzata da due ufficiali di polizia giudiziaria. Il fatto che un altro agente, in un momento successivo, abbia ascoltato la registrazione per effettuare un riconoscimento vocale rientra pienamente nelle legittime attività di indagine, rimesse alla discrezionalità della polizia giudiziaria.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha fondato la sua decisione su un orientamento giurisprudenziale consolidato da oltre trent’anni. I giudici hanno ribadito che le dichiarazioni degli agenti che asseriscono di aver riconosciuto la voce dell’imputato sono legittimamente utilizzabili per l’identificazione degli interlocutori. Non è necessario, in questi casi, disporre una perizia fonica, specialmente quando la deposizione del teste viene ritenuta attendibile e sicura.

Il momento ricognitivo è parte della testimonianza, e la sua valutazione sfugge al sindacato di legittimità se la decisione del giudice di merito è supportata da una motivazione congrua e logica. La Corte ha inoltre definito il motivo di ricorso ‘generico’, poiché la difesa non aveva argomentato la cosiddetta ‘prova di resistenza’, ovvero non aveva spiegato perché l’eventuale eliminazione di quella specifica intercettazione avrebbe compromesso l’intero impianto accusatorio, che si fondava anche su altre prove come le dichiarazioni della persona offesa.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa sentenza riafferma un principio di fondamentale importanza pratica: la testimonianza di un operatore di polizia che riconosce la voce di un indagato in un’intercettazione è una prova a pieno titolo. La sua validità non è subordinata a procedure complesse come la ricognizione formale. Il fulcro della questione si sposta sulla valutazione dell’attendibilità del testimone, un compito che spetta al giudice di merito. Per le difese, ciò significa che contestare un riconoscimento vocale richiede non solo la messa in discussione della procedura, ma soprattutto la dimostrazione della scarsa credibilità del teste o l’irrilevanza della prova nell’economia complessiva del processo.

L’identificazione della voce di un imputato fatta da un poliziotto in udienza è una prova valida?
Sì, secondo la Corte di Cassazione è una prova pienamente valida. Non è considerata una ‘ricognizione di voci’ formale, ma parte integrante della testimonianza dell’agente. La sua validità dipende dalla valutazione del giudice sull’attendibilità e credibilità del testimone.

È necessaria una perizia fonica per il riconoscimento vocale in un processo?
No, la sentenza ribadisce che non è necessario espletare una perizia fonica quando il giudice ritiene attendibile la deposizione di chi afferma di identificare la voce con sicurezza, come un agente di polizia che ha avuto precedenti contatti con l’imputato.

La mancata firma di un verbale di trascrizione da parte di un agente che ha solo ascoltato le registrazioni per riconoscerne le voci lo rende nullo?
No. La Corte ha chiarito che nessuna nullità deriva da questa circostanza. L’importante è che il verbale di trascrizione sia stato correttamente redatto e sottoscritto dagli agenti che hanno materialmente eseguito l’operazione. L’ascolto successivo da parte di un altro agente per fini di identificazione è una legittima attività investigativa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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