Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 10310 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 10310 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 12/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a Cosenza il 19/08/1991 avverso la sentenza del 25/06/2024 della Corte di Appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. udite le conclusioni del difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha l’annullamento del provvedimento insistito nei motivi di ricorso e chiesto impugnato.
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del 25 giugno 2024 con cui la Corte di Appello di Cosenza, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Cosenza in data 8 luglio 2022, lo ha condannato alla pena di anni 3, mesi 4 di reclusione ed euro 900,00 di multa in relazione al reato di estorsione, previa declaratoria della sopravvenuta prescrizione del reato di cui all’art. 73 d. P.R. 309/1990 .
Con il primo motivo di impugnazione, si lamenta inosservanza degli artt. 110, 142, 177, 268 cod. proc. pen. e 89 disp, att. cod. proc. pen.
A giudizio della difesa, la mancata sottoscrizione -da parte del Brig. Minnutodel verbale, datato 15 luglio 2015, di trascrizione del l’intercettazione n. 1380 del 26 maggio 2015 comporterebbe incertezza assoluta in ordine all’identità dei
soggetti intervenuti nell’attività di ascolto e trascrizione con conseguente nullità del verbale stesso.
È stato, in proposito, rimarcato come il Brig. COGNOME sia stato l’unico teste escusso in ordine all’attribuzione all’odierno ricorrente di una delle voci registrate in data 26 maggio 2015, nonostante il COGNOME non sia indicato tra gli operanti che hanno predisposto e sottoscritto il verbale del 15 luglio 2015.
Con il secondo motivo di impugnazione, si deduce la violazione degli artt. 191 e 216 cod. proc. pen. e la conseguente inutilizzabilità dell’intercettazione n. 1380 del 26 maggio 2015.
Il riconoscimento della voce del Romano, effettuato da parte del Brigadiere COGNOME nel corso della sua deposizione testimoniale, sarebbe stato assunto in violazione dell’art. 216 cod. proc. pen. nella parte in cui regolamenta le modalità di svolgimento della ricognizione di voci.
Inoltre, il riconoscimento vocale sarebbe stato ritenuto attendibile nonostante il Brigadiere COGNOME non interloquisse con l’imputato da oltre quattro anni e senza tenere conto della variabilità della voce a livello interindividuale e intra-individuale nonché della differenza del canale di trasmissione della voce stessa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
Il primo motivo di impugnazione è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto affermato dal ricorrente, non vi è alcuna incertezza in ordine ai militari dell’Arma che hanno ascoltato e trascritto la conversazione intercettata in data 26 maggio 2015.
L’accesso agli atti, consentito ed anzi necessario in caso di questioni processuali, comprova che l’attività di ascolto e trascrizione è stata svolta presso la sala ascolto della Procura della Repubblica di Cosenza- dal Maresciallo NOME COGNOME e dal ViceBrigadiere NOME COGNOME i quali, terminata l’attività di trascrizione hanno correttamente proceduto a sottoscrivere il relativo verbale.
Deve essere, inoltre, rimarcato che nessuna nullità può derivare dalla circostanza che il Brigadiere COGNOME abbia -successivamente alla redazione del verbale di trascrizione da parte dei predetti Ufficiali ed Agenti di polizia giudiziariaproceduto all’ascolto della conversazione intercettata in data 26 maggio 2015 al fine di un eventuale riconoscimento delle voci degli interlocutori.
Tale accertamento, rientra, infatti fra le attività di indagine rimesse alla discrezionalità della polizia giudiziaria, attività, peraltro, legittimamente svolta dal Minnuto in assenza di norme procedurali che vieti no l’ascolto delle
intercettazioni da parte di investigatori diversi da quelli che hanno proceduto alla trascrizione della captazione.
Il secondo motivo di impugnazione è al contempo manifestamente infondato e generico.
3.1 Il Collegio intende dare seguito al principio di diritto secondo cui le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto la voc e dell’imputato sono legittimamente utilizzabili ai fini dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate nel corso delle indagini preliminari, quando è ritenuta attendibile la deposizione di colui che afferma di identificarlo con sicurezza, senza che sia necessario espletare perizia fonica (vedi Sez. 2, n. 12858 del 27/01/2017, COGNOME, Rv. 269900 -01; Sez. 5, n. 20610 del 09/03/2021, COGNOME, Rv. 281265 -02 e da ultimo Sez. 2, n. 44818 del 15/10/2024, COGNOME, non massimata).
Il momento ricognitivo costituisce, invero, parte integrante della testimonianza, di tal che l’affidabilità e la valenza probatoria dell’individuazione informale discendono dall’attendibilità accordata al teste e alla deposizione dal medesimo resa, valutata alla luce del prudente apprezzamento del decidente che, ove sostenuto da congrua motivazione, sfugge al sindacato di legittimità (cfr. Sez. 6, n. 12501 del 27/01/2015, Rv. 262908-01; Sez. 4, n. 47262 del 13/09/2017, Prina, Rv. 271041 -01, di recente negli stessi termini Sez. 3, n. 41229 del 28/06/2024, COGNOME, non massimata).
Nel caso di specie i giudici di appello, senza fratture logiche nel ragionamento giustificativo della decisione, hanno correttamente ritenuto utilizzabili le dichiarazioni con cui il Brig. COGNOME ha riferito ‘ di conoscere perfettamente la voce dell’odierno imputato poiché, per ragioni di servizio, si era trovato in più occasioni a parlare con il medesimo ‘ (vedi pag. 4 della sentenza impugnata). Tale affermazione, in nessun modo censurabile sotto il profilo della completezza e della razionalità, è fondata su apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
3.2. Deve essere, peraltro, ribadito, in relazione all’eccepita violazione dell’art. 216 cod. proc. pen. e alla conseguente inutilizzabilità dell’intercettazione n. 1380 del 26 maggio 2015 , che l’ identificazione effettuata in sede dibattimentale non obbedisce alle formalità previste per la ricognizione in senso proprio, di cui agli artt. 213 e seguenti cod. proc. pen., siccome riferibile esclusivamente al contenuto di identificazioni orali del testimone, per cui vige la disciplina degli artt. 498 e seguenti cod. proc. pen., sì che da esse come da ogni elemento indiziario o di prova il giudice può trarre il proprio
libero convincimento (Sez. 5, n. 37497 del 13/05/2014, COGNOME, Rv. 260593 -01; Sez. 5, n. 23090 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279437 -01; Sez. 2, n. 23970 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283392 -01, da ultimo Sez. 2, n. 41960 del 25/09/2024, Bello, non massimata).
La doglianza difensiva va nel senso contrario a un orientamento di legittimità mai contrastato e che viene costantemente affermato da più di un trentennio, visto che il primo arresto giurisprudenziale in tal senso risale ai primi anni Novanta (Sez. 1, n. 6922 del 11/05/1990, COGNOME, Rv. 190569- 01).
3.3. Il motivo, oltre ad essere manifestamente infondato, è generico, non avendo il ricorrente prospettato la possibile, ed in ipotesi, decisiva influenza della predetta conversazione sulla complessiva motivazione posta a fondamento della affermazione di responsabilità.
Il Collegio intende dare continuità al principio fissato da questa Corte per il quale, quando si lamenti l’inutilizzabilità di un elemento probatorio, il ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione ai fini della cosiddetta «prova di resistenza»; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente devono, infatti, incidere, scardinandola, sulla motivazione censurata e compromettere, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 31823 del 06/10/2020, COGNOME Rv. 279829 -01; Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, COGNOME, Rv. 269218-01), profili neanche accennati nel ricorso in esame.
Ciò premesso, è appena il caso di rilevare che, nella specie, l’attribuzione dell’intercettazione contestata convergeva con le dichiarazioni rese dalla parte offesa sulla partecipazione dell’odierno ricorrente all’attività illecita.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 12 febbraio 2025