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Riconoscimento Sentenza Straniera: Ruolo del Condannato

La Corte di Cassazione ha stabilito che una persona condannata in un altro Stato UE non può avviare direttamente in Italia la procedura giudiziaria per il riconoscimento della sentenza straniera al fine di scontare qui la pena. La normativa europea conferisce una mera facoltà, non un obbligo per gli Stati membri, di prevedere l’iniziativa del privato. Secondo la legge italiana, l’impulso deve provenire dallo Stato estero o dal Ministero della Giustizia, sebbene il condannato possa sollecitare tali autorità ad agire.

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Pubblicato il 20 settembre 2025 in Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Riconoscimento Sentenza Straniera: Può il Condannato Avviare la Procedura?

Il tema del riconoscimento della sentenza straniera all’interno dello spazio giuridico europeo è cruciale per garantire il principio del mutuo riconoscimento e favorire il reinserimento sociale del condannato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito i limiti dell’iniziativa del condannato nel chiedere di scontare la propria pena in Italia. Vediamo nel dettaglio cosa ha stabilito la Suprema Corte.

I Fatti del Caso

Due cittadini rumeni, condannati in via definitiva nel loro paese d’origine per reati di evasione fiscale, associazione a delinquere e riciclaggio, hanno presentato un’istanza alla Corte di Appello di Bologna. La loro richiesta era semplice: volevano che la Corte italiana si attivasse per chiedere alle autorità rumene la trasmissione della sentenza di condanna e del relativo certificato, al fine di poter scontare la pena in Italia.

La Corte di Appello ha dichiarato la richiesta inammissibile, sostenendo che, secondo la normativa italiana di attuazione delle decisioni europee (d.lgs. n. 161/2010), non è prevista un’iniziativa diretta del privato. L’impulso procedurale, secondo i giudici di merito, deve provenire dallo Stato di emissione (la Romania) o, in casi specifici, dal Ministero della Giustizia italiano.

La Decisione della Corte di Cassazione

Contro la decisione della Corte di Appello, i due condannati hanno proposto ricorso per cassazione. Essi hanno sostenuto che la normativa italiana dovesse essere interpretata conformemente alla Decisione Quadro europea (2008/909/GAI), la quale prevede esplicitamente che anche la persona condannata possa chiedere l’avvio della procedura. In subordine, hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale della norma italiana per contrasto con i principi europei e con il principio di uguaglianza.

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, dichiarandolo inammissibile e confermando la decisione della Corte di Appello.

Le Motivazioni: Il ruolo del condannato nel riconoscimento della sentenza straniera

Il cuore della motivazione della Suprema Corte risiede nella distinzione tra una ‘facoltà’ concessa dalla norma europea e un ‘obbligo’ procedurale per lo Stato nazionale. Ecco i punti chiave del ragionamento dei giudici:

### Discrezionalità dello Stato Membro

La Corte ha chiarito che la Decisione Quadro europea, nel prevedere che “Anche la persona condannata può chiedere… di avviare una procedura”, sta delineando una mera facoltà procedimentale. Non impone un obbligo agli Stati membri di inserire nei propri ordinamenti un’azione giudiziaria diretta e autonoma del condannato. Rientra, pertanto, nella piena discrezionalità di ciascuno Stato articolare le procedure interne per raggiungere l’obiettivo del mutuo riconoscimento. L’Italia ha scelto di attribuire l’iniziativa allo Stato estero o al Ministero della Giustizia.

### Assenza di Conflitto tra Norme

Di conseguenza, non sussiste alcun contrasto insanabile tra la normativa italiana e quella europea. Poiché la norma UE non è un precetto rigido ma una possibilità, la scelta del legislatore italiano di non prevedere l’iniziativa diretta del condannato davanti al giudice è perfettamente legittima e conforme al diritto europeo.

### Infondatezza delle Questioni di Costituzionalità

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate sono state ritenute manifestamente infondate. La Corte ha precisato che il sistema italiano non preclude affatto al condannato di tutelare il proprio interesse. Egli, infatti, non può adire direttamente la Corte d’Appello, ma ha piena facoltà di rivolgersi alle autorità competenti – ovvero il Ministero della Giustizia in Italia o le autorità dello Stato di emissione – per sollecitare l’avvio della procedura. L’autorità competente rimane quella ministeriale e non quella giudiziaria.

Infine, è stata respinta la presunta disparità di trattamento rispetto al riconoscimento delle sentenze per fini civili, in quanto si tratta di situazioni oggettivamente diverse, con finalità e procedure distinte.

Le Conclusioni

La sentenza chiarisce un aspetto procedurale fondamentale in materia di esecuzione delle pene all’interno dell’UE. Un condannato che desidera scontare in Italia una pena inflittagli in un altro Stato membro non ha il potere di avviare autonomamente il procedimento giudiziario presso la Corte di Appello. La sua azione deve essere di stimolo e sollecito verso le autorità amministrative competenti: il Ministero della Giustizia italiano o le autorità dello Stato che ha emesso la condanna. Questa pronuncia ribadisce la discrezionalità degli Stati nel definire le modalità procedurali per l’attuazione del diritto europeo, purché gli obiettivi di cooperazione e reinserimento sociale siano garantiti.

Una persona condannata in un altro Paese UE può chiedere direttamente a un giudice italiano di eseguire la pena in Italia?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la normativa italiana non prevede un’iniziativa processuale diretta del condannato davanti alla Corte di Appello. La richiesta di avviare la procedura deve provenire dalle autorità competenti.

La legge italiana che limita l’iniziativa del condannato è in contrasto con il diritto europeo?
No. La Suprema Corte ha stabilito che la Decisione Quadro europea conferisce una semplice facoltà, non un obbligo per gli Stati di prevedere l’iniziativa del privato. Pertanto, la scelta del legislatore italiano di attribuire l’impulso ad autorità statali è legittima.

Cosa può fare concretamente un condannato per favorire il trasferimento della sua pena in Italia?
Anche se non può avviare un’azione giudiziaria diretta, il condannato può e deve rivolgersi alle autorità competenti per sollecitare l’avvio della procedura. Può contattare il Ministero della Giustizia in Italia oppure le autorità giudiziarie o ministeriali dello Stato in cui è stato condannato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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